Sono anni che sento invettive reciproche tra ciclisti e automobilisti: “mi hai sfiorato cretino”, “mettiti in fila imbecille” e via imprecando.
Dividere il mondo in categorie sembra essere un’attitudine dell’uomo per semplificare la realtà e presumere di comprenderla meglio per poterla dominare. La stragrande maggioranza dei ciclisti è anche automobilista mentre, non tutti gli automobilisti sono ciclisti o, semplicemente, utilizzano la bicicletta. Il ciclista vive l’automobilista come una minaccia e l’automobilista vede il ciclista come un fastidioso ostacolo.
La strada però è di tutti, anche degli animali, per cui ci si dovrebbe interrogare sul perchè si scateni un conflitto su una questione di semplice convivenza e di buon senso.
Io sono un ciclista ma anche un automobilista, un motociclista, un pedone.
In realtà non credo di appartenere a nessuna di queste categorie perchè mi sento un essere umano presuntuosamente diverso solo da una pecora o da un cane che attraversa la strada.
In quanto non appartenente, se non temporaneamente ed occasionalmente, ad una di queste categorie, mi sento di poter affermare che il problema riguarda gli esseri umani e la loro capacità di intelligere.
Poichè ho la fortuna, condivisa con i molti ciclisti di cui sopra, di poter osservare il fenomeno da diversi punti di vista, inizio con quello dell’automobilista.
Guidando un mezzo dotato di carrozzeria, di 4 ruote che mi garantiscono l’equilibrio, di un motore e di vari dispositivi finalizzati alla guida e non solo, occupando una porzione consistente della carreggiata, procedendo ad una velocità adeguata alla potenza del motore, ritengo di avere il diritto di esprimere il vantaggio derivante da essere dotato di cavalleria con la frase mutuata dal prode Brancaleone da Norcia: “cedete lo passo” rivolta a tutti gli esseri privi di tali attributi che si incontrano lungo il cammino.
Il punto di vista del ciclista sembra essere diametralmente opposto. Sembra, poichè quando il ciclista singolo confluisce in un gruppo, non necessariamente numeroso (ne bastano due), il suo comportamento è simile a quello dell’automobilista in quanto il gruppo di ciclisti, via via formatosi, va ad occupare gran parte della carreggiata, procedendo in amichevole conversazione, incuranti di ciò che avviene sulla striscia di asfalto dietro di loro.
Questi due atteggiamenti sono reciprocamente irritanti e pericolosi e andrebbero semplicemente evitati. Infatti credo proprio che si possa convivere nelle strade semplicemente usando la testa, il buon senso e un po’ di rispetto reciproco.
Poiché i ciclisti hanno l’opportunità di poter considerare la cosa da entrambi i punti di vista, il mio invito è quello di iniziare noi, in quanto ciclisti e contemporaneamente automobilisti, a tenere un comportamento responsabile e civile.
Se quando guidiamo l’auto e vediamo un ciclista isolato o un gruppo di ciclisti, mettiamoci l’animo in pace, rallentiamo e aspettiamo il tratto e il momento giusto per effettuare il sorpasso, come se davanti a noi ci fosse un trattore o un camion.
Quando siamo in bicicletta, da soli o in compagnia, teniamo conto del traffico intorno a noi e del tipo di strada che stiamo percorrendo. Se è molto trafficata evitiamo di procedere in doppia fila e rimandiamo le chiacchierate lungo quelle strade secondarie poco trafficate il cui numero è in progressivo aumento visto che la propensione di chi guida i veicoli a motore è quella di frequentare autostrade e superstrade e non le nostre bellissime strade secondarie.
Detto questo, mi piacerebbe che anche le amministrazioni pubbliche recepissero questo messaggio di civiltà da parte dei ciclisti/automobilisti intervenendo in vari modi alla ri-valorizzazione dell’immenso patrimonio pubblico di strade secondarie che sono sempre di più in via di dismissione. Oltre alla manutenzione del manto stradale, sarebbe opportuna una loro riclassificazione che tenesse conto della ciclabilità e della fruizione potenziale a livello turistico.
A tal proposito l’ARI (Audax Randonneur Italia) nel 2018 ha lanciato una campagna di civiltà e di sicurezza denominata STRADE DA VIVERE, fatta propria anche da A.Mo.Do. (Alleanza per la Mobilità Dolce). La campagna si rivolge in via prioritaria agli oltre 10.000 randonneur che frequentano le nostre strade in occasione delle randonnée ma è estesa a tutti i ciclisti, sia quelli urbani che extraurbani, e anche ai granfondodisti. In occasione dei numerosi eventi che si svolgeranno nel corso dell’anno (il calendario è pubblicato sul sito dell’ARI), saranno distribuiti degli adesivi da apporre sia sulla bici o sul casco che sul retro della propria auto.
E’ un primo segnale di distensione a cui, spero, possano seguire comportamenti più consapevoli da parte di tutti.
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Fornisci il tuo contributo!