La felicità è uno stato difficile da definire. Qualsiasi tentativo di codifica risulta vano, parziale e inappropriato. La felicità sfugge alle definizioni. Ciascuno di noi ha una propria esperienza della felicità e la caratteristica che distingue la felicità da ogni altra esperienza umana è l’essere sempre diversa e inafferrabile.

Eppure il fine di ogni vita sembra essere la felicità, ma, poichè risulta inafferrabile, non si può mai dire di averla raggiunta o di poterla raggiungere. La felicità si prova. 

Lo stato di felicità non ha relazione con il tempo. Può essere la percezione magica di un attimo o anche il protrarsi indefinito di uno stato di consapevolezza, libero da qualsiasi condizionamento esterno, dove tutto confluisce in una dimensione armonica, evidente, ma non intellegibile. Raramente la felicità si manifesta come un dato oggettivo. La felicità siamo noi, quando siamo felici.

In questo libro vi descriviamo una modalità per acquisire una consapevolezza di noi stessi e di ciò che ci circonda, semplicemente andando in bicicletta. Nel farlo, si può essere felici. Può sembrare banale ma si tratta di un modo diverso di provare l’esperienza del viaggio, anche interiore, alla scoperta di universi nascosti dietro realtà apparentemente visibili e note.

Andando in bicicletta si impara a ricercare e mantenere l’equilibrio. Una abilità che si apprende in modo istintivo, senza bisogno di studiare. La teoria la si elabora dopo, quando si è imparato ad andare in bicicletta. Per altro, la maggior parte dei ciclisti, della teoria ne fa a meno, perchè andare in bicicletta sembra essere più naturale che camminare, arrampicarsi, tuffarsi, e si pensa di saperlo fare da sempre.

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Valter Ballarini

Nato a Terni, in Umbria, ciclista, randonneur, guida cicloturistica, da anni esplora il mondo del Ciclismo non solo come fenomeno sportivo ma come modalità più consapevole di osservare e vivere la realtà. Architetto, in passato, ha realizzato progetti come la Bibliomediateca e il Videocentro a Terni, la Città del Gusto del Gambero Rosso a Roma, il Virtual Reality & Multi Media Park di Torino.

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3 commenti
  1. Giorgio
    Giorgio dice:

    Questo è uno di quei libri che si leggono tutti di un fiato, finito un capitolo si ha la curiosità di leggere quello successivo.
    I consigli che vengono dati sono molto importanti ma, giustamente, non molto dettagliati, in quanto poi ognuno di noi deve vivere le proprie esperienze e modificare a seconda delle proprie necessità.
    “La felicità in bicicletta” non è un manuale per la gestione della bici, piuttosto è un elaborato di esperienze per vivere la bicicletta, viverla con un’altra consapevolezza che ci si presenta gradevole ed inaspettata.
    Ci aiuta a renderci consapevoli delle nostre capacità fisiche che, con l’aiuto della mente, ci permette di superare limiti che prima pensavamo insuperabili.
    Una consapevolezza di spirito di osservazione che con mezzi di spostamento veloci non potevamo avere.
    E’ un libro che consiglio a chi si sta avvicinando ad un ciclismo “viandante” o a quei ciclisti che si sono stancati delle competizioni e a quelli che vorrebbero usare la bici per piccole vacanze, riportando un bagaglio più grosso di quando sono partiti.

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  2. crisalide
    crisalide dice:

    Ho avuto questo libro per caso, ma non a caso…. :-))
    Incuriosita dall’argomento, desiderosa di approfondirlo, ma sopratutto con la voglia di trasportarlo ” per analogia” al mio nuovo percorso di benessere e consapevolezza.
    Da pigra incallita, da parcheggiatrice folle purché nei pressi… a camminatrice.
    Camminare è diventata come dite voi una malattia che guarisce dalle malattie.
    Mi ha colpito molto questo approccio e nelle vostre righe ho ritrovato tanto della mia esperienza di camminatrice: il gusto dell’ascolto del proprio respiro, lo sguardo stupito come di un bambino, i profumi delle nostre campagne e soprattutto quella bellissima sensazione di benessere di distacco dalla frenesia: un luogo mio.
    Eppure questo libro non si è limitato a questo. Mi ha fatto aprire cassetti della memoria di quando mia nonna mi regalò la prima bici: una graziella di quelle inguardabili e mio fratello si ostinava a insegnarmi incurante della breccia presente sulla strada .
    Eppure ho voluto imparare: era l’unico mezzo che avevo per scappare da quel posto.
    O ancora…. quando da ragazza “cicciottella” mi spedivano a fare le vacanze nella villa a Fregene del mio facoltoso zio DIETOLOGO. Ricordo con chiarezza che prima della migragnosa, triste , austera cena inforcavo una delle numerose bici e andavo… superavo i limiti imposti e pedalavo furiosamente lontano. Ricordo il profumo della salsedine legato a quello dei pini, il rilucere del mare al tramonto e il vento sul viso. Quando penso alla libertà penso a questo. Quando penso ad un “non spazio” penso a questo.
    Mi ero dimenticata di queste sensazioni che il vostro scritto ha invece riportato alla ribalta.
    Il capitolo di Daniela e del suo lavoro è stato illuminante, la fatica e il suo tener duro a non farsi fagocitare dalle cose, dalla mentalità comune. E il suo riuscire a trasportare poi quello che desiderava anche nella professione è ciò che di meglio una persona possa desiderare. Diciamolo però, per quanto ognuno deve bastare a se stesso, per quanto occorre essere non dipendenti dai rapporti è sempre qualcun altro che ti apre il sipario e ti indica un percorso.
    Ora smetto …. forse sono in preda agli oppiacei endogeni scatenati dalla lettura del libro.
    Grazie è delizioso e ……………. grazie!

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