Certo che al giorno d’oggi, andando in bici, se ne vedono delle belle…!!!
Lo dice sempre più spesso un mio amico ciclista, non sempre utilizzando le mie stesse parole, ma il concetto è simile: sempre più donne praticano il ciclismo, non quello con le bici da passeggio, ma tutte le discipline del ciclismo, comprese quelle più estreme, e pure con ottimi risultati.
L’immissione di nuova sensibilità e di leggerezza apportate da questa sempre più massiccia presenza femminile, sta trasformando il modo di vivere il ciclismo, da sempre pensato e declinato al maschile.
Partendo dal mondo dei professionisti, risulta evidente che la nazionale italiana femminile, una delle più forti a livello mondiale, negli ultimi anni vince molto più di quella maschile.
Questo nelle corse in linea, nei grandi giri o su pista, ma non solo, anche nelle altre discipline si può scrivere una storia del ciclismo al femminile.
Agli albori della Mountain Bike la prima atleta a vincere due volte di seguito le Olimpiadi, appena fu introdotta la nuova disciplina, è stata l’italiana Paola Pezzo. Una bellissima impresa di una giovane atleta, impreziosita da un gesto che è rimasto nella storia e nella memoria di milioni di ciclisti e che ha segnato una svolta.
Le Olimpiadi si svolgevano ad Atlanta, negli USA, e la gara di MTB si disputava in una giornata molto calda. Paola Pezzo (all’ultimo giro) riuscì a superare l’avversaria diretta e, nonostante fosse stremata, continuò la sua corsa verso il traguardo aprendo appena la cerniera della sua maglia, facendo così intravedere, ma solo intravedere, le linee del suo seno. Nessuno può dire quanto quel gesto fosse stato involontario o impreziosito da un pizzico di malizia.
Il risultato è stato notevolmente superiore alle intenzioni, ove ci fossero.
Da quel momento la MTB, una disciplina impegnativa, rude, da cinghialari (così, senza peli sulla lingua, amavano definirsi i primi biker, per differenziarsi dagli stradisti, che invece erano senza peli sulle gambe), si è trasformata in qualche cosa di diverso perchè, una giovane donna ha avuto l’ardire di superare un confine, imposto dall’universo maschile, facendo irrompere nello sport il “femminile”, attraverso una forma di eros, sconosciuta fino a quel momento.
Non c’era nulla di osceno nel gesto della Pezzo. Non era un mostrarsi, ma un “non nascondersi”. Significava semplicemente che una bravissima atleta, una bella e giovane ragazza, poteva permettersi di fare un gesto, quello di aprire la maglia tecnica per rinfrescarsi, lo stesso gesto che tutti i biker maschi facevano tranquillamente.
Nessun finto pudore in quel gesto, ma espressione di libertà affermata con naturalezza. Un gesto apprezzato da tutti perchè liberatorio e, per questo, seduttivo e seducente.
Paola Pezzo è stata la prima, ma dopo di lei è arrivata la norvegese Gunn Rita Dahle, un’altra bellissima donna che ha raccolto il testimone della Pezzo e ha definitivamente imposto la femminiltà anche nella disciplina della mountain bike.
Da qualche anno la donna in bicicletta non è più oggetto di curiosità e di particolari attenzioni da parte dei ciclisti maschi (prodighi di consigli, spesso sbagliati).
E’ sempre di meno “sesso debole” perchè nel ciclismo, la femminilità non è sinonimo di debolezza, ma di libertà e di bellezza.
Le cicliste che ho incontrato per caso nei miei tour mi hanno sempre salutato con il sorriso, a differenza di tanti ciclisti maschi, troppo concentrati sulla performance per accorgersi di ciò che accade loro intorno.
Il sorriso delle cicliste non è casuale, è la naturale espressione di un modo più evoluto di interpretare il piacere di andare in bicicletta, di godere delle sensazioni fisiche e mentali che può provare solo chi sa interpretare il ciclismo come mezzo e non come fine.
Finalmente anche il mondo delle due ruote si è accorto della presenza massiccia delle donne, costrette fino a poco tempo fa ad indossare orribili indumenti tecnici sgargianti, pensati da uomini incapaci di districarsi nell’arte degli abbinamenti e delle armonie dei colori.
Questa mancanza di gusto veniva ancor più esaltata dalla foggia dei completini, disegnati e tagliati per corpi maschili, privi di curve, se non quelle addominali.
Finalmente gli stilisti del ciclismo hanno scoperto le forme femminili e hanno cominciato a produrre capi ed accessori rispondendi ad un gusto più raffinato.
Oggi l’abbilgliamento del ciclismo al femminile si è molto evoluto perchè la domanda c’è e orienta il mercato.
Stessa cosa sta accadendo anche nelle bici, nei telai e nelle componenti tecniche. Si studiano geometrie al femminile. La sella è pensata diversamente da quella maschile (non ci voleva tanto a capirlo). L’assetto di guida è stato rivoluzionato.
Ma questo è solo l’aspetto più tecnico e commerciale.
In realtà la presenza delle donne sta cambiando il modo di vivere il ciclismo nel profondo.
Recentemente anche l’universo delle randonnée si è popolato di donne capaci di imprese straordinarie come la Parigi Brest Parigi, la 1001 Miglia e la 999 Miglia, ultramaratone di più di 1000 km, con dislivelli intorno ai 20.000 m, da percorrere in totale autonomia in pochi giorni (e notti).
L’agonismo, presente anche nell’universo femminile, raggiunge espressioni altissime nelle competizioni, ma prevale un’idea di sport più solidale, più umano.
Nel ciclismo amatoriale al femminile c’è una maggiore attenzione al benessere e alla salute psico fisica, piuttosto che alla prestazione a tutti i costi.
Nel ciclismo al femminile è più difficile introdurre il doping perchè la donna è più consapevole dell’immensa energia vitale che possiede e, per esprimerla, non ha bisogno di ricorrere a scorciatoie banali come il doping .
La donna in bicicletta è più bella.
Le cicliste hanno tante cose nuove da dire a proposito di questa passione, condivisa con gli uomini, ma interpretata con inedita seducente eleganza.
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Un articolo bellissimo. Ancor più bello il fatto che sia scritto da un maschietto! Siamo testarde ed ostinate, amiamo misurarci con noi stesse e cerchiamo di farlo sempre divertendoci e apprezzando ciò che di buono uno sport può trasmetterci. Ci piace essere trattate al pari di chiunque altro. Sesso debole? È solo un limite mentale. Bravo Valter, saggio e riflessivo come sempre. È bello leggerti.
Le randonnee sono consone al nostro carattere: ci vuole pazienza, perseveranza, sopportazione della fatica e del dolore, testa salda sulle spalle…il nostro sport!
… ma anche intuizione, direzione, fantasia… e piacere della scoperta.