I files con estensione .fit sono quelli generati dai dispositivi gps. Contengono informazioni sulla traccia generata e sono i più completi perchè includono tutti i punti del percorso, la velocità, l’altimetria, la distanza, la cadenza di pedalata, il consumo calorico, i battiti cardiaci, la potenza, il tempo totale e il tempo in movimento.

Questi files risiedono nella memoria del dispositivo e possono essere salvati anche sul pc semplicemente collegando il dispositivo e aprendo la cartella dove sono conservate le tracce. Troverete un elenco di numeri. I primi 6 numeri si riferiscono alla data in cui è stata realizzata la traccia (i primi 2 l’anno, poi gli altri 2 il mese e poi il giorno). Quelli che seguono sono indicizzazioni del file che permettono di riconoscere la traccia se, nello stesso giorno, ne sono state registrate più di una.

Copiate i file con estensione .fit sul vostro desktop e poi collegatevi al sito www.alltrails.com Andate nel fondo della pagina e sotto “Maps” cliccate su “Route Converter”. Apparirà una seconda schermata che vi chiederà di “Scegliere un file”. Cliccateci sopra e vi si aprirà la pagina per selezionare il vostro file con estensione .fit. Caricatelo. Il numero con l’estensione .fit comparirà sulla destra del pulsante.

LINK DIRETTO AL PROGRAMMA DI CONVERSIONE

A questo punto scegliete in basso a sinistra in che tipo di file volete convertire il file .fit. Scegliete l’opzione “GPX Track” così il file convertito conterrà tutte le informazioni utili. Cliccate sul bottone verde “converti” ed il gioco è fatto: sulla cartella download del vostro computer troverete il file con la stessa numerazione seguito dall’estensione .gpx.

Potete scegliere anche qualsiasi altra estensione di quelle presenti nella finestra di selezione ma tenete presente che i files con l’estensione .gpx sono universalmente riconosciuti da tutti i programmi.

Leggi anche:

Come inserire un file gpx nel tuo Bryton

Come inserire un file gpx nel tuo Garmin

Come sincronizzare un dispositivo GPS con STRAVA

Ci sono delle iniziative che sembrano voler interpretare in modo corretto un fenomeno in grande espansione costituito dalla sempre più massiccia presenza di ciclisti nelle nostre strade.

Il modo più sbagliato per farlo è un cartello, come quello nella foto, che “avverte gli automobilisti” della “pericolosa” presenza di ciclisti e li invita a rispettare la distanza di sicurezza di 1,5 m. nel sorpasso.

Il messaggio è chiaro: i ciclisti sono un pericolo così come lo sono gli animali selvatici o la caduta massi…

Poichè le strade sono di tutti, perchè non avvertire i ciclisti della presenza pericolosa di autoveicoli che, molto spesso non rispettano velocità e regole del Codice della strada nell’effettuare sorpassi ?

Suggerisco invece dei cartelli di questo tipo: “Itinerario ciclabile – Strada ad uso promiscuo con presenza rilevante di ciclisti – Rispettare i limiti di velocità e le distanze di sicurezza”

Se avete bisogno di ricaricarvi energeticamente, andate in bicicletta sulla piana di Castelluccio di Norcia, nei Monti Sibillini, tra Umbria e Marche. Per arrivarci potete scegliere uno dei tre versanti: da Norcia, da Visso e da Arquata del Tronto. Tutti portano sulla piana dove domina il piccolo paese di Castelluccio, alle pendici del Monte Vettore.

Ci troviamo proprio al centro del cratere del recente terremoto del 2016 che ha distrutto gran parte dei paesi circostanti ma che non ha potuto modificare il fascino di una natura incontaminata, decisamente indifferente agli eventi sismici.

Dopo la prima fase post terremoto, caratterizzata dagli interventi urgenti di messa in sicurezza e di ripristino, si è ora nella fase di ricostruzione e, seppure in villaggi temporanei (allestiti dignitosamente), la vita delle comunità è ripresa, mentre proseguono i lavori di demolizione e rimozione delle macerie.

Lo scenario delle distruzioni riguarda esclusivamente le abitazioni perché le strade sono tutte aperte al traffico veicolare e nei nuovi villaggi ci sono i servizi di base sia per la popolazione residente che per i turisti.

La piana di Castelluccio è uno dei luoghi più belli e affascinanti del centro Italia e merita un viaggio. Nota sin nell’antichità, è sempre stata considerata un luogo magico. Dal Lago di Pilato sul Vettore, all’antro della Sibilla sui monti che da lei hanno preso il nome, più che la storia dei luoghi sono state tramandate le leggende di raduni magico esoterici di maghi provenienti da tutta Europa.

Questa atmosfera la si respira ancora oggi. Lo spettacolo che si presenta appena si svalica da uno dei tre versanti (specialmente proveniendo da Norcia) è decisamente emozionante: una distesa d’erba, senza alberi, per chilometri, solcata da una strada rettilinea che divide in due la pianura con verdi colline circostanti, dominate dalla presenza del Monte Vettore, con la sommità quasi sempre avvolta da spesse nuvole.

Il “piccolo Tibet” lo si apprezza pienamente in autunno, possibilmente non durante il weekend, poiché è anche frequentatissimo dagli amanti del parapendio, dai motociclisti e dai turisti “mordi e fuggi” a caccia di selfie durante la famosa “fiorita di Castelluccio”.

La piana di Castelluccio è bellissima da percorrere in lungo e in largo in bici, ma ancora più bello è arrivarci affrontando le tre bellissime salite da Norcia, da Visso e da Arquata del Tronto.

CASTELLUCCIO DEGLI EROI

A tal proposito la asd Bikemotion ha predisposto il progetto di un brevetto permanente: “Castelluccio degli Eroi” che si può conseguire in qualsiasi periodo dell’anno e consiste nell’effettuare le tre scalate (e rispettive discese) nell’arco di 24 ore. Il brevetto si può conseguire partendo da una qualunque delle tre località: Norcia, Castelsantangelo sul Nera e Arquata del Tronto per raggiungere la piazza del paese di Castelluccio. Si scende poi verso una della altre due località per poi risalire e tornare alla piazza e ridiscendere di nuovo sull’ultimo versante per poi risalire l’ultima volta e completare il brevetto. Una volta completato il percorso, per essere omologati, bisognerà inviare via email alla asd Bikemotion il riferimento della propria traccia su Strava o Garmin Connect.

Il percorso completo misura 143 km e 3800 m. di dislivello. Le salite e le discese da affrontare sono 9. Le tre principali + le tre per svalicare la piana e le 3 per arrivare alla sommità di Castelluccio.

Norcia – Forca Canapine – 16,7 km e 858 m. dislivello +

Castelsantangelo sul Nera – Forca di Gualdo – 10,2 km e 771 m. dislivello +

Arquata del Tronto – Forca di Presta – 13,6 km e 944 m. dislivello +

CASTELLUCCIO DEGLI EROI – SMALL

Comunque sia, anche se non volete impegnarvi anche in una sola delle tre salite mitiche, potete arrivare in auto fino a Castelluccio e poi attraversare la piana in bici raggiungendo i tre valichi e facendo ritorno sempre a Castelluccio. Ci sono parcheggi, bar e ristoranti in nuove strutture antisismiche che vi aspettano per una giornata diversa (indimenticabile).

Percorso totale 40 km e 868 m. di dislivello +

Nel leggere questi dati che riporto di seguito, mi sono resa conto che i media e la politica si stanno occupando di cose, probabilmente importanti, senza però occuparsi con serietà e consapevolezza di altri temi, come l’alimentazione, ritenuti secondari, che hanno però degli effetti devastanti sulla vita di tutti noi.

Nell’anno 2012, nel mondo intero, sono morte 56 milioni di persone. Come sono morte ?

Non prendendo in considerazione la vecchiaia, gli incidenti di vario genere ed altre cause:

  • 620.000 sono state vittime della violenza umana. In particolare: le guerre hanno ucciso 120.000 persone, il crimine ne ha colpito un ulteriore mezzo milione.
  • 800.000 persone si sono suicidate.
  • 1,5 milioni di individui sono morti di diabete.

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Costruire il gruppo è la traduzione di “Team Building“, un termine che sta entrando in uso anche in Italia in quelle aziende che hanno interesse a creare delle nuove connessioni sociali tra i propri dipendenti. Ho appena partecipato come guida cicloturistica ad una esperienza promossa dalla GSK, la nota multinazionale farmaceutica con sedi in Italia e in tutto il mondo. Continua a leggere

Raramente guidando l’auto ci si rende conto dello stato in cui si trovano i bordi delle nostre strade. La rete delle strade regionali, provinciali, comunali italiane, senza tener conto delle autostrade, misura 837.493 km.

Per calcolare la lunghezza dei bordi basta raddoppiare il dato ottenendo circa 1,7 milioni di km. Le strade sono di varie tipologie ma la caratteristica che le accomuna è la presenza di una carreggiata dove transitano i veicoli, di una banchina che ne definisce il bordo esterno (non sempre praticabile) e di una fascia di rispetto tra la banchina e il confine esterno, molto spesso di terra con vegetazione, quasi sempre spontanea.

La banchina e la fascia di rispetto sono interessate da un fenomeno inquietante rappresentato dall’abbandono di rifiuti da parte dei vari utenti della strada.

Lungo tutte queste strade, con poche eccezioni (quando si attraversano centri urbani ben amministrati), c’è una ininterrotta sequela di rifiuti di vario tipo. Prevalentemente si tratta di bottiglie di plastica o di vetro, pacchetti di sigarette, contenitori di succhi di frutta e bevande, involucri di alimenti e altre tipologie di rifiuto tutte riconducibili a scarti di consumi effettuati dagli stessi utenti della strada che, aprendo il finestrino, li gettano sui bordi della strada.

Il fenomeno è generalizzato ed è difficilmente arginabile a valle con interventi da parte dei proprietari delle strade e dei cittadini di buona volontà che provano a ridare dignità a queste strisce di territorio considerate discariche dai più.

La rilevanza del problema può essere individuata in modo particolare dai cicloturisti (più che dai cicloamatori che percorrono a velocità più elevate le stesse strade, concentrati sulla ruota di chi li precede). Questi si muovono ad una velocità moderata e sono in grado di osservare ciò che li circonda, tanto da poter rilevare pienamente il fenomeno delle discariche a bordo strada.

Tra questi rifiuti si possono osservare anche gli involucri di barrette energetiche utilizzate dai ciclisti e questo sta a significare che anche loro non sono immuni da comportamenti incivili e sconsiderati. Ma questo tipo di rifiuti è comunque irrilevante rispetto ai pacchetti di sigarette che sono onnipresenti a testimoniare il fatto che il fumo delle sigarette, oltre a uccidere chi fuma, ne annebbia il cervello, dando vita a comportamenti inspiegabili altrimenti.

Il problema non è facilmente risolvibile. Si tratterebbe di ripulire i bordi delle strade attraverso una campagna a livello nazionale che coinvolga sia i proprietari delle strade che i fruitori e immediatamente dopo intervenire sulla vegetazione spontanea riqualificando il tutto con interventi strutturali tali da rendere evidente le eventuali trasgressioni anche a chi le compie.

In genere uno spazio ordinato e tenuto pulito funziona da deterrente nei confronti anche degli sporcaccioni. Infatti il loro gesto sconsiderato non avrebbe nessun tipo di alibi come invece accade oggi in presenza di tanti rifiuti stratificati.

 

La Parigi Brest Parigi è la ultra maratona ciclistica che si disputa ogni 4 anni in Francia a partire dal 1931. Dalla prima edizione c’è stato sempre un incremento notevole di partecipanti fino ad arrivare ai 7000 dell’ultima edizione del 2019. Si tratta di percorrere 1200 km partendo da una località nei pressi di Parigi fino a Brest, nella punta estrema della Bretagna, per poi farvi ritorno ripercorrendo più o meno la stessa strada a ritroso.

Il dislivello complessivo è di poco superiore ai 10.000 metri, ma si tratta di un percorso vallonato che alterna salite e discese senza soluzione di continuità. Le località attraversate non sono quelle più note della Francia: si tratta di piccoli borghi agricoli e di città di piccole dimensioni.

Se il territorio attraversato non presenta particolari attrattive, il calore umano che accompagna questa manifestazione è veramente eccezionale. Dalla partenza all’arrivo, di giorno e di notte, lungo la strada, c’è sempre una costante presenza di pubblico che applaude e incita i partecipanti.

Sicuramente è questa presenza eccezionale di pubblico e il calore e la passione che emana che attrae le migliaia di randonneurs provenienti da tutto il mondo.

La PBP (questo è l’acronimo) è una randonnée, anzi l’olimpiade delle randonnée, e in quanto tale, sulla carta, non è competitiva. In realtà si tratta di una delle manifestazioni sportive più estreme al mondo (tenendo conto dell’alto numero dei partecipanti). Pur non essendoci una classifica di merito ufficiale, solo riuscire a completarla entro il tempo massimo di 90 ore è un’impresa “eroica” che non tutti sono in grado di compiere.

Infatti la sfida, prima di tutto con sé stessi e con i propri limiti, è basata sulla capacità di pedalare costantemente, tenendo una media superiore ai 20 km/h, rinunciando al sonno e al recupero fisico (solo microsonni di pochi minuti e mai in un vero letto) e adattandosi ad affrontare tutte le difficoltà che si incontrano: dalle mutevoli condizioni atmosferiche, alla pioggia, al vento, all’escursione termica (dai 30° di giorno ai 3° di notte), fino alla difficoltà di trovare un riparo, se sopraggiungono gli inevitabili “colpi di sonno”, o dei servizi igienici praticabili.

I ristori predisposti dagli organizzatori ci sono. Sono a pagamento ma a prezzi bassi e con una discreta qualità, ma lungo il percorso è la popolazione che in modo spontaneo organizza dei punti di ristoro gratuiti, molto spesso gestiti da adolescenti eccitatissimi che sul bordo della strada ti chiedono “il cinque” come fossi un gran campione alla fine della tua gara vittoriosa.

E’ questo calore e questa partecipazione che ti spinge a tentare di portare a termine la sfida, perchè dopo aver pedalato per ore di giorno e di notte sulle belle strade asfaltate della Bretagna, avvicinandoti al giro di boa di Brest, cominciano a farsi sentire la stanchezza, i dolori muscolari e i disagi dovuti alla postura (dopo 20 ore in sella, qualsiasi sottosella si ribella).

Il bisogno di dormire è evidente e segnalato dai numerosi corpi di ciclisti, apparentemente senza vita, sparsi lungo i bordi della strada, con le bici riverse sull’asfalto a segnalare la loro presenza. Una sorta di scenario da “day after” che, in quanto sopravvissuto, ti spinge a pedalare senza fermarti, fino allo sfinimento (inevitabile, ma da evitare).

E’ questa la chiave per affrontare la PBP: saper stare tante ore in sella di seguito, pedalare mantenendo una velocità media superiore ai 20 km/h e un ritmo il più possibile costante (nonostante i continui saliscendi spezzagambe), saper rinunciare al sonno sostituendolo con microsonni, trovare soluzioni logistiche improvvisate per le funzioni vitali minime, avere un abbigliamento tecnico adeguato, alimentarsi con costanza, perdere meno tempo possibile ai controlli, e, soprattutto, viaggiare da soli perchè ciascuno ha i suoi ritmi e la gestione dei limiti personali non può essere condivisa che in piccola parte con altri compagni di avventura.

In realtà alla PBP non si viaggia mai da soli. C’è sempre un gruppo occasionale a cui accodarsi per brevi o lunghi tratti del percorso. Questo è il bello della PBP perchè è l’evento dove le solitudini di ciascuno sono le solitudini di tutti, perchè sono condivise, ma non necessariamente nello stesso spazio e nello stesso tempo. Ciascuno procede concentrato su sé stesso in un flusso ininterrotto che si scompone e ricompone secondo regole che spesso appaiono incomprensibili.

Di notte, le luci rosse dei randonneur, disegnano il percorso da seguire. Dopo poco che pedali nell’oscurità, impari a leggere le discontinuità altimetriche semplicemente osservando queste luci che, in pianura e in discesa, disegnano una linea rossa continua e, nelle salite, si trasformano in piccoli grappoli che, poi, tornano ad essere una linea.

Un’altra caratteristica della PBP è l’odore dei randonneurs (ma è più corretto chiamarla puzza, con il suo vero nome) che si percepisce dopo 4 giorni e 4 notti passati sudando negli stessi indumenti, senza mai lavarsi per non perdere tempo. Infatti devi scegliere se dormire o lavarti. Quasi sempre scegli di dormire. Se scegli di lavarti è perchè pedali ad una velocità superiore alla media e ti puoi conquistare questo piccolo privilegio (la doccia) senza rubarlo ai microsonni.

In realtà, la quasi totalità dei randonneurs punta a finire il prima possibile l’avventura della PBP e rimanda a dopo l’arrivo il recupero fisico e mentale oltre al decoro personale.

La PBP non è una passeggiata. E’ un’impresa interiore che lascia il segno. Hai poche cose da raccontare a chi non ha condiviso con te questa avventura. Non sono i paesaggi monotoni e ripetitivi che puoi descrivere perchè li hai appena osservati e percepiti, dovendo superare la sensazione di noia che può generare un percorso non circolare ma lineare, di andata e ritorno. Al massimo potrai cercare di raccontare il contesto umano che caratterizza questo evento, la passione dei francesi per il ciclismo eroico, l’emozione provata e trasmessa dai tanti abitanti di località rurali dimenticate che ogni 4 anni vengono a contatto per giorni con una moltitudine di ciclisti che parlano tutte le lingue del mondo, spesso incomprensibili.

La mia esperienza personale alla prima partecipazione alla PBP (del 2019), nonostante tutto, è stata estremamente positiva. Non l’ho conclusa, mi sono fermato dopo 450 km. L’ho fatto per scelta consapevole avendo sbagliato l’approccio. Sono partito dall’Italia con un camper insieme a 3 amici randonneurs iscritti alla PBP e un amico disponibile a supportarci alla guida e alla gestione del camper. Quello che a nostro avviso doveva essere un vantaggio, si è rivelato uno svantaggio. Avere il camper di riferimento che ci aspettava nei pressi di alcuni controlli (più o meno ogni 200 km) ci ha costretto a procedere in gruppo, scontando le soste e i piccoli inconvenienti di ciascuno. Una volta raggiunto il camper, il tempo dedicato al sonno è stato limitato perchè eroso dai tempi necessari per la gestione del bagno, della logistica, dei ristori e dai tempi di attesa dei compagni prima della ripartenza. Sostanzialmente abbiamo percorso i 450 km in 21 ore (sicuramente nella media) ma perdendo più di 10 ore nelle soste, potendo, di fatto, usufruire di sole due ore di sonno.

Arrivati al controllo di Loudéac, a 150 km da Brest, avevamo solo l’alternativa tra liberare il camper e proseguire autonomamente e individualmente senza il suo supporto, tentando di recuperare il tempo perduto nella modalità adottata dagli altri randonneurs, oppure finirla li e traformare l’esperienza in una vacanza in Francia.

Fortunatamente per tutti noi è prevalsa la seconda ipotesi e, così, dopo aver registrato formalmente il nostro ritiro, siamo andati in Normandia a Mont Saint Michel a ossevare, da cicloturisti, il fenomeno delle maree (di giorno e di notte), a mangiare ostriche sul molo a Cancale, per poi riattraversare la Francia fino a Brianchon e scalare il Col du Galibier e il Colle delle Finestre, due salite monumento del Tour de France e del Giro d’Italia che, da sole, meritano un viaggio.

Personalmente non so se parteciperò alla prossima edizione della PBP. Mancano 4 anni e avrò il tempo di metabolizzare l’esperienza fatta. Al momento penso di no perchè, avendo partecipato lo scorso anno alla Alpi 4000, una delle ultramaratone dell’Italia del Grand Tour, una prova sicuramente più impegnativa della PBP per distanza (1500 km) e per dislivello (21.000 m.) ma con più ore a disposizione per completarla, le differenze di impostazione tra i due eventi sono evidenti e, a mio parere, sono fortemente sbilanciate verso la prova italiana che coniuga intelligentemente l’evento sportivo con l’approccio cicloturistico, alla ricerca e alla scoperta della bellezza e della varietà dei paesaggi attraversati come premio per la inevitabile fatica e per i disagi da sopportare.

Vedi anche: “Come ci si qualifica alla PBP”

Molti ciclisti si trovano in difficoltà ad inserire tracce gpx nel proprio dispositivo Bryton, operazione necessaria per poter poi navigare il percorso.

Non tutti i dispositivi Bryton hanno la funzione di navigazione. Certamente ce l’hanno i due dispositivi cartografici (Aero 60 e Rider 450) ma anche il 530, il 420 e il 330 che non dispongono di base cartografica ma forniscono le indicazioni di base per la navigazione (ad esempio: gira a destra tra 150 m. ecc.).

Questo che ti suggerisco è il metodo più semplice e più affidabile. 

Hai però bisogno di un PC e un cavo usb (in genere fornito insieme al dispositivo, ma facilmente reperibile).

Per prima cosa devi collegare il dispositivo al tuo PC con il cavo usb.

Fatto questo sul desk del PC (o MAC) apparirà l’icona del Bryton come disco rigido. 

Cliccaci sopra e si apriranno diverse cartelle. 

Apri la cartella ExtraFiles. 

Trascinaci dentro il file gpx che hai scaricato da Openrunner o altro sito tipo Strava o acquisito in altro modo (ad esempio un file gpx generato da altro utente).

Appena inserita la traccia nella cartella ExtraFiles il dispositivo trasformerà il file gpx in una traccia utilizzabile. 

Fatto questo devi scollegare il dispositivo dal computer.

Ora puoi attivare il dispositivo (scollegato) e andare sul Menù. Scorri su “Segui percorso” e poi su “Vista” dove troverai la traccia con il nome del file gpx che hai caricato.

IMPORTANTE: Prima di caricarlo sul dispositivo modifica il nome del file gpx in modo da poterlo rintracciare sul tuo dispositivo più facilmente.

NOTA: I files gpx generati dai vari programmi come Openrunner, Bikemap o Strava, non hanno tutte le informazioni contenute nei files generati dal dispositivo per cui potrebbero risultare instabili. Quindi sarebbe meglio utilizzare tracce gpx generate da un dispositivo on the road, ma non sempre questo è possibile.

Se hai un Garmin vai a questo link

Vi siete mai chiesti chi è che ha inventato la catena della bicicletta ?

L’umanità è sempre stata piena di catene…. ma questo tipo di catena (che si può flettere su un solo asse) è stata inventata (guarda un po’) da Leonardo Da Vinci, che ha disegnato le prime bozze tra il 1478 e il 1518, e che sono raccolte nel Codice Atlantico. Ma non è stato lui ad applicarla alla bicicletta. Ci ha pensato nel 1832 tale Meduel Gall che l’ha anche brevettata. Continua a leggere

Avete presente quella massa molliccia localizzata a livello della vita di molti uomini, ma anche di una cifra considerevole di donne soprattutto in età menopausale che, in alcuni casi, ispira simpatia e senso di sicurezza?

La famosa “pancetta” o maniglie dell’amore come molto romanticamente vengono definite!

Ecco, al di là dell’aspetto puramente estetico non esattamente gradevole,  quello rappresenta un vero e proprio indicatore dello stato di salute di un individuo…in senso negativo!

Sto parlando del grasso addominale, viscerale o grasso  d’organo che può essere presente anche in soggetti normopeso. Ai fini della valutazione del rischio per la salute infatti, ciò che conta di più non è la quantità assoluta di grasso in una persona, ma il tipo di grasso e la sua distribuzione.

Il tipo di grasso che va monitorato è quello VISCERALE , situato in profondità attorno agli organi centrali del corpo come il fegato, l’intestino e il cuore. Questo tipo di grasso si comporta come un organo a se’, è attivo perché rilascia numerose sostanze e modula diversi ormoni corporei. Quando è in eccesso produce sostanze dette citochine, che provocano l’infiammazione sistemica dell’organismo, predisponendo al rischio di sviluppare patologie quali diabete di tipo 2, patologie cardiovascolari, steatosi (fegato grasso), sindrome metabolica, dislipidemie oltre ad accelerare i processi di invecchiamento.

Pensate che un solo chilo di grasso addominale in più contiene ben 3 km di nuovi capillari! Quindi chi ha 10 chili di grasso addominale in più avrà circa 30 km in più di vasi sanguigni, con conseguente sforzo del cuore per pompare il sangue a quel livello.

Immaginiamo che oltre allo sforzo per affrontare una salita in bici o lunghe distanze si va ad aggiungere quello di dover nutrire, pompando sangue, quella massa aggiuntiva di grasso!  La conseguenza, capite bene, è un aumento della pressione arteriosa, esposizione al rischio di patologie cardiovascolari e tutto quanto detto già sopra.

Negli uomini poi, il grasso addominale contribuisce a ridurre il livello di testosterone, con evidenti conseguenze sul desiderio sessuale oltre a diminuire la forza e l’energia.

A questo punto non vi è venuta subito la voglia di iniziare a lavorare sul vostro stile di vita, cioè essenzialmente nutrizione, capacità di gestire lo stress, esercizio fisico per eliminare il grasso viscerale, quindi l’infiammazione sistemica che questo porta con se’, affrontare le salite in bici e quelle della vita con leggerezza sia fisica sia mentale, ritrovare il punto vita, migliorare la performance sessuale,   ma soprattutto garantirvi una vita sani e a lungo?

Se la risposta è Si, potete considerarvi persone centrate, con un buon equilibrio mentale, che tengono alla propria salute e, quindi, alla propria vita, e iniziare subito con un trattamento depurativo olistico, primo step del percorso che vi farà ritrovare la forma fisica, mentale, energetica, ma sopratutto la salute!

Se la risposta è No, …beh fatevi una domanda e cercate la risposta dentro voi stessi…. ma sappiate che è sbagliata! 🙂 Peccato!