In questi ultimi due mesi di marzo e aprile 2020 c’è stato un vero e proprio boom nell’uso dei rulli per gli allenamenti indoor. Questo non per volontà e libera scelta ma poichè non c’erano alternative possibili.

Molti ciclisti hanno rispolverato i vecchi rulli relegati in cantina e hanno iniziato a pedalare e a sudare fino alla noia per non perdere la condizione sperando che ‘a nuttata fosse breve…

Non lo è stata e non si intravede rapidamente un ritorno alla normalità, semmai un giorno sarà possibile ritornarci.

Chi ha avuto come me la fortuna e l’intuizione di acquistare dei rulli interattivi (smart) di nuova generazione prima che l’eccesso di domanda esaurisse le scorte in tutto il mondo, ha invece avuto modo di scoprire un nuovo mondo interessante e in rapida crescita.

I nuovi rulli interattivi sono solo lo strumento hardware, indispensabile per poter vivere questa nuova esperienza, ma la novità sta invece nello sviluppo dei software di simulazione che sono letteralmente dilagati in questo periodo, conquistando sempre di più nuovi estimatori ed utilizzatori.

Ho avuto modo e, probabilmente, avrò ancora per molto tempo modo di sperimentare questa nuova tecnologia che è sicuramente una parente alla lontana del ciclismo classico, che tutti noi conosciamo, ma che presenta molti aspetti interessanti che vale la pena analizzare prima di esprimere un giudizio liquidatorio, come ho sentito fare in questi giorni da chi non ha avuto la possibilità di sperimentarla e si appella ad antichi pregiudizi.

Premetto che andare in bicicletta nella realtà è cosa assolutamente diversa che vivere un’esperienza interattiva di realtà aumentata sui rulli, ma ciò non toglie a quest’ultima un proprio fascino e un suo perchè.

I RULLI

Possiamo suddividere i rulli in tre categorie: i rulli veri e propri (Roller) su cui posizionare direttamente la bicicletta senza nessun fissaggio, il rullo su cui fissare la ruota posteriore della bici (Wheel on) e il rullo a trasmissione diretta (Direct Drive).

I Rollers sono i più semplici e i più antichi, utilizzati dai professionisti per il riscaldamento e il defaticamento, sono quelli che forniscono la migliore sensazione della pedalata perchè la bici si comporta come su strada. Per questo, è però necessario essere sempre concentrati per rimanere in equilibrio e non fare manovre pericolose che potrebbero farti uscire dai rulli e cadere.

I Wheel on sono i più diffusi ed economici. Sono facilmente utilizzabili poichè la bici viene agganciata al supporto utilizzando il perno della ruota posteriore che è in contatto con il rullo. Sono stabili ma hanno il difetto di essere rumorosi e di consumare il copertone a contatto con il rullo. Nei modelli più recenti il rullo in acciaio è stato sostituito con uno in elastogel più silenzioso e più performante.

I Direct Drive sono i rulli più evoluti ma anche i più costosi. In questo caso la ruota posteriore viene tolta e la trasmissione viene collegata al rullo direttamente utilizzando un pacco pignoni connesso all’ingranaggio. Sono i veri rulli interattivi con i quali è possibile interagire con i software delle varie piattaforme e simulare dalle pendenze, al fondo stradale, all’inclinazione del percorso.

Queste due ultime tipologie di rulli hanno entrambe la possibilità di simulare le pendenze aumentando la resistenza del rullo attraverso un freno a resistenza magnetica (il più diffuso e meno costoso), idraulica attraverso un liquido in cui è immerso il volano ed elettro-magnetico che garantisce una maggiore precisione e fluidità di pedalata ma che ha bisogno di essere collegato ad una presa elettrica.

Recentemente anche alcuni Rollers della Elite sono stati dotati di una resistenza elettro-magnetica gestita dal software della piattaforma utilizzata per le sessioni di realtà virtuale.

Escludendo i modelli base, tutte e tre le tipologie possono essere utilizzate in modo interattivo purchè siano dotate di sensori in grado di misurare le rispettive performances in termini di velocità, potenza e frequenza di pedalata. Ovviamente i più evoluti dal punto di vista dell’interattività sono i Direct Drive e se si ha intenzione di utilizzarli in ambienti immersivi di realtà virtuale o realtà aumentata, è bene acquistare subito uno di questi modelli, magari acquistando un entry level che comunque non costa meno di 500 €.

Personalmente uso un Tacx Flux S Smart e sono soddisfattissimo, ma la scelta è stata determinata anche dalla sua disponibilità in questo periodo di difficile reperimento di rulli interattivi. In alternativa ci sono i modelli della Elite, anch’essi affidabili e performanti. La Tacx (azienda olandese acquistata recentemente dall’americana Garmin) e la Elite (azienda italiana, leader nel settore) sono quelle che si dividono la fetta più consistente del mercato in Europa. A seguire, con lo stesso livello di performance e di affidabilità nell’interattività, ci sono la Wahoo e la Saris.

LE PIATTAFORME VIRTUALI

Fatta la scelta del rullo si può passare all’esame delle piattaforme che consentono un’esperienza immersiva con i rulli. Sono tutte piattaforme a pagamento ma hanno il pregio di poter fare anche abbonamenti mensili e non solo annuali. In genere quasi tutte offrono un periodo di prova gratuito per poterle testare. Alcuni abbonamenti sono gratuiti in quanto compresi nell’acquisto del rullo interattivo.

Esistono piattaforme che offrono alcuni servizi gratuiti come RGTCycling ma il meglio dell’esperienza immersiva è sempre a pagamento e quindi, conviene conoscere le attuali offerte per poi fare la scelta giusta in modo consapevole.

Zwift

La piattaforma che al momento è la pià frequentata è Zwift. Si tratta di un sistema di realtà virtuale che propone numerosi percorsi “disegnati”, alcuni completamente inventati e altri che ripropongono situazioni reali. Gli ambienti son molto dettagliati e il livello di immersività è buono (puoi anche scegliere la qualità dei dettagli in base alla larghezza di banda disponibile). Il suo punto di forza è l’interattività. Si tratta infatti di un divertente videogioco associato ad una piattaforma social che ti permette di interagire con i tuoi amici e condividere l’esperienza della pedalata.

Con Zwift puoi organizzare delle uscite di gruppo invitando i tuoi amici in uno dei tanti percorsi disponibili. Puoi stabilire un orario per l’appuntamento e ritrovarti con loro nel punto di partenza. L’esperienza è divertente e stimolante. Necessita di un minimo di preparazione e confidenza con l’applicazione e con i social, ma si impara presto e si può pedalare insieme e condividere le sensazioni (e anche giocare un po’ sfidandosi sulle salite…)

Rouvy

L’altra applicazione che va per la maggiore è Rouvy, è stata realizzata nella Repubblica Ceca e propone una quantità enorme di percorsi che possono essere vissuti in “realtà aumentata”. La visione è realistica perchè le riprese sono reali e sono sincronizzate con il rullo di chi partecipa, così che il video scorre alla velocità con la quale procedi. In più, lungo il percorso puoi incontrare gli avatar (disegnati ma realistici) degli altri ciclisti presenti lungo il percorso. Si tratta di un’esperienza immersiva di grande impatto perchè sembra proprio di “esserci”.

Anche con questa applicazione puoi darti appuntamento con i tuoi amici su uno dei tanti percorsi e condividere la pedalata attraversando territori conosciuti o da esplorare.

Questo è il valore aggiunto di questa piattaforma che ti consente di viaggiare con le gambe, con gli occhi e con la mente e affrontare percorsi che sarebbe difficile raggiungere.

Recentemente ho partecipato alla prima Granfondo virtuale sul percorso “Bormio – Gavia” di 24 km e 1400 m di dislivello, organizzata da ENDU e dagli organizzatori della GF Damiano Cunego.

Conoscevo questa salita ma è stato un piacere vivere l’esperienza virtuale insieme ad altri 400 ciclisti reali con i quali ho condiviso il percorso e l’atmosfera, arricchita e impreziosita dalla diretta su fb con la presenza di commentatori e collegamenti con i protagonisti.

Insomma: non vedo l’ora di riprendere a pedalare nella realtà… ma, avendo conosciuto questa nuova modalità, non mi dispiace pensare di poter continuare a viaggiare anche nelle giornate di pioggia utilizzando queste nuove tecnologie di cui mi sono dotato e che mi offrono non una alternativa ma una nuova opportunità.

PER SAPERNE DI PIU’

Vai al sito TACX

Vai al sito ELITE

Guarda il video su come scegliere i rulli interattivi Tacx

Guarda il video sulla scelta dei rulli di varie marche

Leggi articolo sulle varie piattaforme di realtà virtuale per i rulli

Vai al sito ROUVY

Vai al sito SWIFT

All’inizio di questo 2020 ho scritto, senza pubblicarlo, questo articolo per il blog in cui parlo di ciò che informa il mio lavoro e, prima ancora, la mia vita. Lo pubblico oggi perchè, con ciò che stiamo vivendo, le considerazioni in esso contenute sono più che mai attuali.

Come più volte affermato in questo blog, ritengo fondamentale mantenere una visione d’insieme dell’individuo, della salute, conoscere prima di ogni altra cosa come funziona il nostro organismo, non soltanto sotto l’aspetto fisico, ma anche e soprattutto psichico, emotivo, energetico, spirituale.

Credo anche che sia essenziale porsi delle domande rispetto a chi siamo veramente e quale sia lo scopo di questa nostra vita, acquisire una consapevolezza che corrisponda ad un ascolto attivo, continuo, di noi stessi e della natura di cui siamo parte, prestando attenzione a tutto ciò che ci circonda e, in fine, sviluppare il senso di responsabilità. 

Tutto ciò mantenendo un atteggiamento di meraviglia, entusiasmo, gratitudine di fronte al continuo spettacolare miracolo che è la vita. 

Lo avevo lasciato in bozza, dando la precedenza ad altre priorità.

Rileggendolo ora ci colgo un qualcosa di profetico, soprattutto quando parlo della questione del “tempo”.

Un tempo che il coronavirus ha magicamente generato

No, soltanto “svelato“. 

Quel tempo è sempre stato lì, presente e disponibile, ma che noi non percepivamo, travolti dalla frenesia della vita che ci siamo creati, scambiandola e vivendola come fosse la “vera” vita. 

Questo meccanismo lo attiviamo passivamente e automaticamente per tanti altri aspetti della nostra vita, rischiando di farcela sfuggire di mano. 

Ecco che il coronavirus ci offre questa straordinaria occasione: renderci più lucidi, capire cosa c’è che non andava in quella che chiamavamo normalità, capire chi siamo, dove stiamo andando, fermarci ad ascoltare in silenzio, ristabilire la scala delle priorità, capire quali cambiamenti apportare per esprimere la nostra autentica essenza e vivere la vita con pienezza, onorandola ogni singolo momento, con gratitudine. 

Non mi corrisponde, di questo nostro sistema che si occupa di salute, la mancanza pressoché totale di “ascolto” globale nei confronti dei pazienti.

Per globale intendo non soltanto l’ascolto relativo all’aspetto che riguarda la manifestazione del sintomo, quindi l’attenzione all’organo correlato, alla malattia, secondo quella che chiamiamo visione meccanicistica, ma l’attenzione, quindi l’ascolto, che dovrebbe essere piuttosto della persona nella sua interezza, secondo quella che è la visione olistica, soprattutto  la valutazione dell’aspetto psicologico, che ci permette  di resistere rispetto ai fattori esterni (resilienza). 

Manca totalmente questo tipo di approccio, primo perché manca proprio la cultura che  prevede una visione d’insieme dell’individuo (olistica appunto), inteso come microcosmo, inserito ed interagente con un macrocosmo, secondo perché un simile approccio richiede del “tempo” da dedicare.

Troppo “tempo“.

Certamente più “tempo” rispetto alla semplice e veloce prescrizione (o dispensazione!!) di qualche rimedio, conseguente ad un’interazione con il paziente (paziente/cliente…) di qualche minuto, superficiale, distratta e ansiogena.

Occupandomi di salute, essenzialmente nella delicata e decisiva fase della prevenzione, dopo tanti anni di studi, ricerca, esperienza clinica, trovo più rispettoso ed efficace e anche spontaneo, dopo aver favorito un atteggiamento il più possibile rilassato, pacificando la mente predisponendola all’ascolto, favorire l’auto-ascolto dell ‘individuo, guidandolo, anche nell’aspetto dell’informazione consapevole, facendogli ri-scoprire come funziona il suo sistema mente/corpo, i segnali che gli invia quando sta allontanandosi da quell’equilibrio che corrisponde alla salute, rendendolo così in grado di modificare ” la rotta” e ripristinare quell’equilibrio stesso.

Tutto questo l’ho esplicitato nel “trattamento depurativo integrato“,  che ho ideato, e che rappresenta la sintesi di questo modo di intendere l’individuo e la salute.

La salute intesa, però, come definita già dall’OMS: stato (o meglio processo) di completo benessere fisico, psichico e sociale, non soltanto assenza di malattia. 

La salute intesa come stato d’animo, oltre che stato biologico, in cui l’individuo si sente in grado di realizzare i propri progetti nella vita con un senso di libertà, amore e felicità.

È con questo approccio che si diventa capaci di attingere a quell’intelligenza innata che favorisce i processi di guarigione e di rigenerazione. 

Un approccio che richiede certamente più “tempo” da dedicare.

Come possiamo intervenire sul processo dinamico della salute, se non sappiamo come funziona il nostro meraviglioso unico e irripetibile organismo in ogni suo aspetto di essere multidimensionale (non di semplice macchina biologica) ? 

Dobbiamo prendere coscienza del fatto che ogni minima interazione del nostro sistema mente/corpo, a partire dal cibo che ingeriamo, ma anche e soprattutto come lo ingeriamo, dalla modalità con cui sappiamo affrontare ciò che viene definito come stress, da come gestiamo le nostre emozioni, da come prendiamo conspevolezza del ritmo e della profondità della respirazione, della qualità del sonno, ecc, tutto questo provoca una risposta fisiologica in grado di modificare macroscopicamente la nostra salute.

Soltanto con la conoscenza di tutto questo, che non corrisponde alla semplice acquisizione passiva e sterile di nozioni, con consapevolezza e senso di responsabilità, possiamo acquisire quella capacità di innescare il cambiamento autentico che, passo dopo passo, conduce nella direzione di un percorso di vera guarigione.

Quello che si scopre, alla fine, è che quel “tempo”, che inizialmente sembrava mancare, lo si ritrova totalmente guadagnato. 

Perché non c’è niente di più importante e sacro del tempo dedicato a capire come funziona e in che modo possiamo mantenere in equilibrio quello straordinario sistema integrato corpo, psiche, anima, emozioni che noi siamo, onorando in questo modo il miracolo che è la vita.

La chiave di volta, a mio avviso, è data dalla ri-acquisizione della  capacità di prestare “attenzione” costantemente a ciò che accade, prima di tutto, dentro di noi, avvalendoci anche delle pratiche meditative, che favoriscono la connessione con la nostra essenza più profonda.

Spegnere il rumore esterno per mettersi all’ascolto dell’universo che è dentro di noi. 

Prendiamo coscienza del fatto che il nostro organismo rappresenta una rete psicosomatica, dove, se il flusso di informazioni e di molteplici circuiti di feedback è regolare, armonico, non ostacolato dai nostri comportamenti non consapevoli e poco responsabili, garantisce un continuo equilibrio (omeostasi) che corrisponde alla salute. 

Questa è la forza, la capacità innata del nostro complesso mente/corpo, che dobbiamo soltanto riscoprire.

Le “prove” possiamo sperimentarle proprio su di noi, trasferendole poi per osmosi e facendo da modello a chi sta intorno a noi, osservando che non soltanto la nostra salute psichica, fisica, mentale è migliorata, ma anche le nostre relazioni, la nostra vita intera, in ogni suo aspetto. 

La medicina come la conosciamo noi, sta dimostrando di non essere più all’altezza e in grado di risolvere i problemi che si stanno presentando. 

Deve trasformarsi e abbandonare l’approccio limitato, frammentario, meccanicistico, diventando integrata, umanizzata, personalizzata, olistica e quantistica, sì perché non possiamo continuare a negare la nostra natura energetica e che, quindi, la malattia e la salute sono frutto dello stato energetico, come peraltro le antiche medicine orientali sanno da millenni. 

L’aspetto della prevenzione deve essere prioritario, l’ascolto, l’accoglienza, la valutazione dell’aspetto psicologico, il ruolo delle emozioni, dell’alimentazione, della respirazione corretta, del movimento fisico, la possibilità di “cucire” una terapia su misura per quel soggetto, attingendo prioritariamente ai rimedi naturali, quindi rivalutando la medicina cosiddetta non convenzionale, considerata una parte sottostimata delle cure mediche: medicine tradizionali, cinese, ayurvedico, agopuntura, come pure gli approcci a mediazione corporea: fitoterapia, omeopatia, Aromaterapia o quelli a mediazione energetica. 

Forse è questo il momento giusto per avviare il cambio di paradigma, ri- considerare l’essere umano, come dimostrano le ricerche degli ultimi decenni, non solo come sede di processi biochimici e molecolari, ma prima di tutto di fenomeni energetici, biofisici, vibrazionali. 

La “coscienza” appare essere sempre di più il fattore unificante sotteso a biologia, biochimica, biofisica e piano animico. Una coscienza in grado di orchestrare qualcosa che la mente razionale non può concepire

Ecco che allora  può avvenire il passaggio verso una medicina in grado di considerare tutti questi aspetti, dove, alla fine, la guarigione assume il significato di allineamento con quella coscienza intelligente, senza tempo e senza spazio, come peraltro tramandato dall’antica sapienza millenaria vedica e di altre antiche filosofie e che la meccanica quantistica sta confermando.

Consapevoli del fatto che la guarigione scaturisce sempre da un livello di organizzazione più alto e qualsiasi terapeuta o rimedio o tecnica non assume altro che il ruolo di “facilitatore” . 

Medicus curat, natura sanat. 

Non è un’utopia, i segnali ci sono, per chi sa coglierli, e questo è il TEMPO.

Da spettatori appassionati del Ciclismo professionistico, aspettavamo tutti le classiche di primavera e l’entrata in scena dei campioni. A partire da queste competizioni, ogni anno milioni di persone si apprestavano a passare moltissime ore davanti alla tv (o anche sugli smartphone) a guardare le imprese di questi eroi moderni sullo sfondo di paesaggi magnifici e di montagne mitiche.

Con l’annullamento delle classiche italiane si è verificato qualche cosa di inaspettato che va oltre il dispiacere per la rinuncia ad uno spettacolo atteso e desiderato.

Questo evento improvviso e carico di conseguenze, non riguarda solo la salute e l’economia, ma investe profondamente tutti noi, le nostre abitudini, le nostre azioni, il nostro modo di pensare, il nostro modo di relazionarci e, nella sostanza, la nostra cultura e i valori su cui si fonda.

Niente sarà come prima. Superata questa fase di emergenza è improbabile che si ristabilisca l’ordine precedente perchè quell’ordine perduto era il frutto di un pensiero condiviso, non ha importanza se voluto o imposto.

Il Corona virus sta agendo profondamente più su questo “pensiero condiviso” che sui corpi fisici degli ammalati, dei contagiati e degli impauriti. Ma anche degli scettici e dei pragmatici, perchè gli effetti di ciò che sta provocando non sono opinabili.

Il virus sta mettendo in discussione tutto ciò che era considerato immutabile.

La stessa passione per il Ciclismo agonistico, per la pratica del ciclismo amatoriale e il semplice piacere di andare in bicicletta subirà una profonda mutazione.

Il Ciclismo, in quanto disciplina sportiva, è qualche cosa di unico per il fatto di coinvolgere territori estesi, di essere praticato all’aperto, in tutte le condizioni climatiche e metereologiche, di coinvolgere milioni di spettatori (non paganti) ai bordi delle strade, di essere basato sulla competizione tra individui che, però, viaggiano in gruppo per la maggior parte del tempo e condividono la stessa fatica e le stesse poche regole.

Se il Ciclismo dei campioni è “lo spettacolo”, le manifestazioni amatoriali sono fenomeni di massa che alimentano un mercato enorme, non limitato al settore delle bici e dell’abbigliamento sportivo, poichè generano effetti rilevanti anche sul turismo, sull’alimentazione e sulla salute.

Il Ciclismo, nelle sue svariate articolazioni, nasce alla fine dell’ottocento ed interpreta più di ogni altra disciplina il “mito futurista del movimento” anche se, di questo mito, per via del rumore dei motori a scoppio, si sono fatte portavoce e paladine le discipline motoristiche.

Tutto il XX secolo è stato caratterizzato dal mito della velocità e dai suoi effetti sugli spostamenti di massa. La Cultura occidentale ha imposto questo modello a tutto il mondo costringendoci a pensare, sin poco dopo la nascita, che la nostra vita sarebbe stata inevitabilmente caratterizza da continui spostamenti nello spazio.

L’umanità, prima del Corona virus, passava gran parte della propria esistenza in movimento: per andare al lavoro, per andare a scuola, per andare in vacanza, per alimentarsi, per divertirsi, per conoscere il mondo… e per fare questo sono state create infrastrutture per consentire questo movimento, secondo ritualità e tempi dettati da interessi collettivi (pensate alla follia degli esodi per le vacanze).

Il Corona virus ha imposto un cambio di paradigma: bisogna stare fermi e distanti gli uni dagli altri. Una cosa apparentemente banale ma che sta producendo degli effetti inimmaginabili.

Come si fa a stare fermi in un mondo che è sempre stato in movimento ? Un mondo basato sull’accelerazione e sulla crescita ? Un mondo H24 dove non tramonta mai il sole ?

Come si fa a rimanere distanti dagli altri se tutto il mondo è stato pensato per le masse ? Il cui sviluppo è fondato sulla concentrazione delle risorse di qualsiasi natura (anche quelle umane) ?

Si fa. Lo hanno fatto in Cina con strumenti coercitivi, lo stiamo iniziando a fare anche in Italia, in Europa e nel reto del mondo utilizzando l’altro virus oggi in voga, quello della paura.

Cosa cambierà nel Ciclismo professionistico ? Non si può sapere. Al momento non si corre aspettando che tutto torni come prima.

Stessa cosa sta accadendo nel Ciclismo amatoriale. Tutti gli eventi in calendario sono stati cancellati e rinviati a data da destinarsi.

Cosa faranno i milioni di ciclisti praticanti privati di queste certezze ?

In attesa e nella speranza che “passi ‘a nuttata” cosa si inventeranno ?

Personalmente ritengo che questo momento di stop possa essere una occasione di riflessione importante per immaginare quello che inevitabilmente sarà un cambiamento epocale.

In questi ultimi anni, parallelamente allo sviluppo del ciclismo competitivo professionistico e della sua copia amatoriale, si sta affermando un nuovo approccio, apparentemente meno eroico, ma sicuramente affascinante e numericamente più rilevante, e dalle grandi potenzialità: il cicloturismo.

Un ciclismo che si pratica individualmente o in piccoli gruppi, che non ha bisogno di organizzazioni megagalattiche, che si può praticare in qualsiasi periodo dell’anno, che non comporta la chiusura di strade e il coinvolgimento massivo della protezione civile e delle forze dell’ordine, che non sporca le strade e che distribuisce ricchezza anche nei territori marginali.

Chi pratica il cicloturismo sulle brevi o sulle lunghe distanze, si muove liberamente, non è vincolato da regole competitive, non deve mettersi in griglia, può partire e arrivare quando vuole, può fermarsi dove vuole, può scegliere la compagnia, può interagire con le comunità che incontra.

Il cicloturista è quello che risentirà meno di questa situazione di cambiamento nel mondo del Ciclismo e che potrà fornire un contributo per individuare una nuova strada per continuare a pedalare verso un mondo che potrebbe essere migliore di quello che siamo costretti a lasciare.

 

Esiste una relazione, una unione inestricabile tra corpo e anima (mente), che si esplicita attraverso un legame biochimico. 
Le emozioni che ne scaturiscono hanno un ruolo fondamentale nella salute e nella malattia.
Ciò propone una nuova visione dell’organismo umano come rete di comunicazione, dalla quale deriva una nuova definizione di salute e malattia, tale da conferire agli individui una nuova responsabilità e un maggior controllo sulla propria salute, quindi sulla propria vita e sul proprio destino. Questo il nuovo paradigma.

Di tutto questo, possiamo esserne testimoni ogni momento, se soltanto fossimo più attenti e non lo dessimo per scontato.

Chi tra noi non ha provato uno stato di malessere (mal di stomaco, accelerazione del battito cardiaco, ecc) conseguente  ad esempio ad un litigio?  Una reazione, cioè, che si manifesta a livello del corpo fisico conseguente ad una emozione causata da uno stimolo esterno, in questo caso negativo. Allo stesso modo come dimenticare l’emozione e la sensazione di “farfalle nello stomaco ” o di “tuffo al cuore” causato dalla sola visione del/la nostro/a innamorato/a?  

Nella nostra cultura, la scienza e quindi la medicina (occidentale, allopatica) ha cercato sempre di negare l’importanza dei fattori psicosomatici (psiche=anima, soma= corpo), in quanto fenomeni non tangibili, impalpabili, così come il loro ruolo nella malattia. 
In realtà, tutte le malattie, anche quando non hanno una base psicosomatica, presentano comunque una componente psicosomatica ben precisa.

Sono le emozioni ad unire la mente (l’anima…) al corpo e sono state individuate quelle molecole corrispondenti alle emozioni, che sono strettamente connesse alla fisiologia del nostro corpo. 

Avviene così, quindi, il passaggio dalla visione meccanicistica, riduzionista dell’individuo (il corpo è una macchina, risultante dall’assemblaggio di pezzi tra loro separati, non connessi e indipendenti dalla mente, in cui le emozioni  non hanno alcun ruolo o legame con il corpo), alla visione olistica dell’individuo, come un sistema integrato di mente (anima…) che attraverso le emozioni è collegato al corpo fisico.

Questo sistema di comunicazione è una dimostrazione dell’intelligenza dell’unità mente/corpo, un’intelligenza talmente sviluppata ed evoluta da ricercare costantemente il benessere e tale da poter garantire potenzialmente la salute e l’assenza di malattia.

Come già detto, la scienza non ammette l’esistenza di ciò che non è possibile misurare. Essendo considerate entità, anzi ” non entità “, la mente, le emozioni, l’anima non sono mai state prese in considerazione in riferimento alla salute e alla malattia. 

La vera svolta in questo senso è avvenuta con la scoperta scientifica di quello che un tempo era considerata una “non entità ” e cioè l’esistenza del recettore. Quella molecola grazie alla quale, tra l’altro,  possiamo dimostrare il funzionamento dei farmaci.

I RECETTORI

I recettori sono molecole distribuite in lungo e largo nel nostro corpo, cervello compreso,  che, attivate da specifici leganti,  danno il via ad una serie di attività che, su una scala più globale, si traducono in vistose modificazioni nel comportamento, nell’umore, nell’equilibrio dei nostri organi. Rappresentano le basi molecolari delle emozioni.

L’esempio è quello del recettore per le endorfine (droga endogena), quelle sostanze prodotte dal nostro organismo, per esempio durante l’attività fisica o l’attività sessuale, collegate alla sensazione di piacere sia fisico che mentale. Lo stesso recettore al quale si legano le droghe esogene, sintetiche  (morfina, eroina..) producendo le stesse sensazioni di piacere, ma contemporaneamente devastanti per l’organismo, come tutti sappiamo. 

L’emozione è l’equivalente della droga, infatti entrambi sono leganti che si fissano sui recettori dell’organismo.

Il ricordo e il rendimento della memoria sono influenzati dal nostro stato d’animo. Quando siamo di ottimo umore tendiamo a ricordare meglio le esperienze emozionali positive e quelle negative quando siamo di cattivo umore. Questo spiega il comportamento più altruistico e gentile nei confronti del prossimo quando siamo di buon umore, così come tendiamo a ferire il prossimo quando siamo di cattivo umore. 

Il legante quindi è portatore di un messaggio, che trasmesso all’interno della cellula ne modifica lo stato. Ciò si svolge simultaneamente in tutte le parti del corpo e del cervello in modo coerente e armonioso rendendo possibile la vita dell’organismo in salute. 

L’approccio olistico alla salute si basa proprio su questo concetto di visione d’insieme del sistema mente(emozioni)/ corpo, sistema altamente intelligente: 
capire come le emozioni agiscono sul nostro corpo, quale ruolo hanno sul piano della salute; 
scoprire come attingere a quell’intelligenza che lega e coordina le emozioni al corpo, attingere quindi ai meccanismi naturali di autoguarigione e rigenerativi, lasciandola lavorare senza intervenire; 
scoprire il modo per favorire la produzione di “droga” endogena, di attivare quelle vie già presenti nel nostro organismo, che possono facilitare il percorso di benessere fisico e mentale, di facilitare esperienze di piacere intenso, estatiche, correlate alla capacità intrinseca di espansione della coscienza. 

Ogni ciclista “consapevole “, che conosce il proprio sistema mente/corpo ed è in modalità “mindfulness”, cioè attento a se stesso, sperimenta questo tipo di esperienza durante e dopo i suoi viaggi in bicicletta. (leggi il nostro libro “la felicità in bicicletta“). Si, perché questo meccanismo non produce soltanto effetti immediati, ma effetti che durano nel tempo e che contribuiscono giorno dopo giorno a strutturare positivamente la propria salute. 

Ogni volta che proviamo un’emozione, proviamo a non subirla automaticamente, restiamo presenti a noi stessi, restiamo in ascolto consapevole e non giudicante, osservando ciò che quella emozione sta provocando a livello di ciascuna cellula del nostro organismo. Inizia così, con un piccolissimo passo, il cammino verso la ri-acquisizione della centralità rispetto alla nostra salute.

È così che possiamo intervenire consapevolmente e responsabilmente sul processo dinamico della salute, correggendo eventuali deviazioni che ci stanno allontanando da quell’equilibrio che corrisponde alla salute.

Perché se arrabbiarmi mi fa star male e ne sono consapevole, quando mi si ripresenterà quel tipo di esperienza, posso scegliere di allontanarmi da quell’emozione negativa, perché so che altrimenti avrà inevitabili conseguenze, anch’esse negative, sul piano della salute.

Ogni volta che, pedalando in mezzo alla natura, percepiamo il profumo che emana un ramoscello spezzato o un petalo di fiore, o qualunque altra parte di una pianta, vuol dire che un olio essenziale si è liberato.

Vale la pena approfondire l’argomento dell’Aromaterapia, perché per il ” ciclista consapevole”  in particolare, ma per lo sportivo in generale e per ciascuno di noi, può risultare molto utile scoprire che esistono rimedi naturali estremamente potenti, privi di effetti collaterali, semplici da usare, che possono essere impiegati per favorire la performance, per potenziare il sistema immunitario, quello psico-emotivo, per risolvere problematiche legate all’apparato muscoloscheletrico e respiratorio.

Il termine “essenziale” deriva dalla teoria di Paracelso, medico, astronomo, personaggio straordinario del Rinascimento che si rifà al concetto ermetico secondo il quale l’uomo (il microcosmo) è lo specchio e l’immagine fedele dell’universo (il macrocosmo). 

Il mondo  degli oli essenziali è un mondo affascinante, che riporta immediatamente al legame strettissimo esistente tra l’uomo e la natura, al concetto di salute e malattia, inteso come equilibrio tra le cellule del nostro corpo che, in fondo, sono un tutt’uno con quelle della natura circostante e quindi anche delle piante da cui gli oli essenziali vengono estratti. 

Definendo gli oli essenziali come l’anima della pianta, cioè  la componente spirituale, quella più sottile e pura della pianta stessa (o quintessenza), si intuisce che essi esplicano il loro potere terapeutico andando ad agire nel profondo. 

Gli oli essenziali agiscono ristabilendo il legame tra l’uomo e la natura, legame che si è perduto nel tempo, riescono ad eliminare la materia più densa, sporca, liberandone l’informazione energetica sottostante.

Nonostante le piante siano utilizzate da millenni per combattere le malattie e alleviare il dolore e i fastidi, solo recentemente si sta cominciando a riscoprire alcuni dei fantastici benefici per la salute degli oli essenziali puri e naturali. 

Non tutti gli oli essenziali sono uguali. È importante assicurarsi che quelli che utilizziamo siano stati rigorosamente testati e certificati come oli puri e di qualità terapeutica. 

Gli oli essenziali, infatti,  si prestano alle sofisticazioni, quindi in commercio possono essere presenti oli essenziali contenenti sostanze contaminanti dannose e additivi chimici di bassa qualità. 

Gli oli essenziali sono sostanze naturali distillate o estratte dalla spremitura delle piante. Sono altamente concentrati: anche una sola goccia può avere effetti molto potenti. 

Gli oli essenziali si usano da migliaia di anni per la loro capacità di influenzare la mente, le emozioni e il corpo. Sono importanti le loro proprietà antibatteriche, anti fungine e antivirali. Sono oggetto di continua ricerca per quanto riguarda la loro capacità di dare sollievo al dolore, alleviare le sensazioni di depressione, migliorare la memoria e ridurre l’infiammazione, favorire il fisiologico drenaggio delle tossine, riequilibrare l’organismo dal punto di vista energetico. 

Gli oli essenziali corrispondono totalmente alla visione olistica della salute e dell’individuo, si prendono cura e attraversano dolcemente  tutti i corpi di cui siamo costituiti, da quello fisico a quello più sottile, energetico, passando per quello mentale e psico emotivo favorendo il ripristino di quell’equilibrio naturale che corrisponde allo stato di salute. Equilibrio da cui spesso ci allontaniamo non rispettando i ritmi del nostro sistema mente/corpo e le sue fisiologiche esigenze. 

Non possono mancare, nel leggero bagaglio del ciclista consapevole, le miscele (combinazioni di oli che, in sinergia, sviluppano proprietà diverse rispetto agli oli presi singolarmente) da utilizzare per sciogliere i muscoli, risolvere i temuti crampi muscolari, facilitare la risoluzione di problemi articolari, così come non possono mancare le miscele con azione riparatrice cellulare, cioè attive contro i danni provocati dai radicali liberi, prodotti dai processi di ossidazione legati allo sforzo eccessivo o prolungato. 

Oppure l’olio essenziale da inalare in quel momento critico, che pedalando per ore è capitato a ciascuno di noi, dove ti viene voglia di mollare tutto, dove il fiato ti manca, la mente e la stanchezza prendono il sopravvento facendoti visualizzare già steso su di una panchina. L’olio essenziale inalato, attraverso le vie olfattive, arriva immediatamente ai centri nervosi che stimolano direttamente la voglia di reagire, favorendo la conversione in pensieri motivanti di ritrovata energia a cui il corpo non può che ubbidire. 

C’è qualcosa di magico, ma supportato da una quantità enorme di studi e di ricerche scientifiche, nell’aromaterapia: una volta entrati nel mondo degli oli essenziali si viene virtuosamente e piacevolmente risucchiati, inebriati dalle loro terapeutiche fragranze, che agiscono globalmente sul nostro organismo, riequilibrando in modo naturale, non invasivo, elegante, tutti i sistemi di cui siamo costituiti. 

La sensazione di ritrovato benessere fisico, psichico, animico ed energetico che ne deriva, diventa qualcosa di talmente buono per noi che difficilmente riusciremo a separarcene.

Ecco alcuni degli oli essenziali che ogni ciclista consapevole dovrebbe portare con sé: 

Miscela di oli essenziali di alto grado terapeutico  (Canfora, menta, tanaceto ed altri) sotto forma di crema, indispensabile per tutti i problemi muscolari e articolari (dolori o per riscaldare e rigenerare i muscoli prima e dopo l’allenamento). 

Miscela respiratoria: alloro, menta, eucalipto ed altri. Aiuta a respirare meglio, aprendo le vie respiratorie anche durante i malanni stagionali. 

Oli essenziali di menta: rinvigoriscono il fisico, la mente e lo spirito facendoci “prendere fiato” e dandoci la spinta per andare avanti senza paura. Utili in quei momenti in cui pensiamo di non potercela fare.

Miscela di oli essenziali (timo, santoreggia, niauli ed altri) con proprietà antiossidanti (protegge dallo stress ossidativo), riparatore cellulare, supporta il cervello e il sistema nervoso, supporta il sistema immunitario. Questa miscela è particolarmente indicata ai ciclisti consapevoli più in là con gli anni.

Miscela di oli essenziali (arancio dolce, chiodi di garofano, cannella ed altri) definita anche miscela protettiva, ci protegge da batteri (utile anche per disinfettare le mani), virus, funghi, muffe, supportando in modo naturale il sistema immunitario. Agisce allo stesso modo anche a livello del corpo sottile, energetico proteggendoci dai “vampiri energetici”, dalle personalità dominanti che tendono ad invadere i nostri spazi e da altre influenze negative.

Non posso non citare la mia miscela di oli essenziali preferita (menta, maggiorana, lavanda ed altri oli) che porto sempre con me e “sniffo” o applico (si presenta in roll-on) quando sento salire la tensione sia a livello fisico (mal di testa, tensione muscolare, torcicollo, ecc) sia a livello emotivo (ansia, tensione nervosa post arrabbiatura, preoccupazione, ecc). Miscela utile, quindi, contro lo stress con effetto calmante, che facilita il passaggio allo stato di “non mente” corrispondente agli stati meditativi (vedi libro mindfulness dinamica).

Gli oli essenziali, proprio per il fatto che anche solo in una goccia possono esplicare tutta la loro potenza a livello del corpo fisico, psico emotivo ed energetico, vanno utilizzati dietro consiglio di persone esperte, anche per ottenere, in base alla variabilità individuale, la massima efficacia in totale sicurezza. 

Possono essere inalati, vaporizzati, applicati, opportunamente veicolati in un olio vegetale, in particolari punti del corpo a seconda del problema per cui vengono utilizzati. 

Alcuni possono anche essere ingeriti, ma in questo caso MAI il fai da te, perché alcuni oli essenziali possono risultare fortemente irritanti per la mucosa gastrica. 

L’articolo è frutto della collaborazione con la mia amica d’infanzia Roberta Martelli, esperta in oli essenziali, che mi supporta nell’ambito dell’Aromaterapia e con la quale porto avanti, attraverso consulenze, incontri informativi e formativi, il  programma di prevenzione primaria esplicitato nel trattamento depurativo integrato, di cui sono ideatrice (percorso teorico-pratico per mantenere e/o ripristinare consapevolmente il processo della salute).  


Con grande enfasi, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti nel 2018 ha annunciato lo stanziamento di 361 milioni di euro per la realizzazione del Sistema delle Ciclovie Turistiche Nazionali. Si tratta di 4 ciclovie: la VenTo (Venezia – Torino), la Ciclovia del Sole (Verona – Firenze), la Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese, il GRAB di Roma (grande raccordo anulare in bicicletta). LEGGI COMUNICATO

All’inizio del 2019, a seguito di bandi di gara, sono stati affidati incarichi per 5 milioni di euro complessivi per l’elaborazione degli studi di fattibilità di queste prime 4 ciclovie. La scadenza per la consegna degli elaborati era molto ravvicinata (fine marzo) e, quindi, al netto dei tempi burocratici per le procedure di verifica, sarebbe stato normale aspettarsi la pubblicazione degli esiti entro l’estate del 2019.

In realtà, ad oggi, degli esiti di questi progetti se ne sa ben poco. Nessuna notizia ufficiale sia da parte del Ministero che delle Regioni interessate dai progetti. Le uniche informazioni reperibili su Internet sono le seguenti:

VenTo – LEGGI STATO DELL’ARTE PUBBLICATO SUL SITO DEL POLITECNICO DI MILANO da cui si rileva che il progetto di fattibilità è stato inviato al MIT e che le Regioni interessate hanno avviato una Conferenza dei Servizi per esaminarlo, ma non si sa nulla sulle previsioni progettuali se non quelle generiche già note.

Ciclovia del Sole – LEGGI LA PAGINA UFFICIALE PUBBLICATA SUL SITO DELLA CITTA’ METROPOLITANA DI BOLOGNA (ENTE DI COORDINAMENTO) da cui si rileva che la ciclovia è ancora sulla carta, sebbene alcuni tratti siano percorribili, poichè l’intero tracciato è stato pensato mettendo insieme alcune ciclovie storiche esistenti (come la Ciclabile del Mincio, e la Modena Vignola) o del progetto già cantierato della ex ferrovia Bologna Mirandola, ma non si dice nulla sulle previsioni dello studio di fattibilità se non generiche indicazioni sul tracciato e sui tratti da riqualificare e quelli da progettare ex novo.

Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese – LEGGI L’UNICO DOCUMENTO UFFICIALE PRESENTE DEL SITO DELLA REGIONE PUGLIA (ENTE DI COORDINAMENTO) da cui risulta che, essendo l’articolo del 2018…., la Regione Puglia sta in alto mare, tanto che, facendo una ricerca su google sul tema spunta questo articolo di BICITALIA (LEGGI ARTICOLO).

Ciclovia GRAB (Grande Raccordo Anulare delle Biciclette) – LEGGI IL COMUNICATO DEL GIUGNO 2019 APPARSO SUL SITO DEL COMUNE DI ROMA (ENTE DI COORDINAMENTO) che annuncia l’approvazione di un protocollo di intesa tra Roma Capitale e il Ministero dei Trasporti, ma non si ha traccia del progetto di fattibilità.

Dopo aver svolto questa ricerca, i cui esiti sono molto deludenti, deduco che da parte del Ministero che ha stanziato i fondi si stia procedendo (?) molto lentamente.

D’altronde, stiamo parlando di mobilità… lenta…

Il viaggio ha origini antiche. Dalle grandi (o piccole migrazioni) dei nostri antenati Sapiens, in giro per il globo per assoggettarlo e diventare la specie dominante, ai pellegrinaggi medievali, ai traffici mercantili del Rinascimento, alle avventure per mare e per terra di avventurieri e mercanti dei secoli successivi, i viaggi sono sempre stati esperienze di grande valore sia per i singoli che per le società e culture che hanno contribuito a mettere in contatto. Solo verso la fine dell’800, con le grandi esposizioni internazionali e lo sviluppo delle nuove vie di comunicazione, nasce una prima forma elitaria di Turismo che si svilupperà poi tra le due guerre e diventerà un fenomeno di massa nel secondo dopoguerra.

Il Grand Tour

Un altro tipo di viaggio, il Grand Tour, è entrato nella storia degli ultimi secoli (a partire dal ‘600) come una esperienza che i giovani rampolli dell’aristocrazia europea dovevano compiere per imparare a conoscere il mondo attraverso l’arte, la cultura, le relazioni con i territori attraversati in un lungo viaggio, che poteva durare anche più di un anno, e che, per le sue difficoltà oggettive, costituiva esso stesso motivo di esperienza e di crescita.

Il viaggio in bicicletta

Oggi il viaggio in bici sta diventando una moda. Bikepacking, Adventure trail, randonnée o viaggi in solitaria, grazie alle esperienze mitiche di alcuni precursori e allo sviluppo tecnologico che mette a disposizione dei ciclisti nuove interessanti applicazioni, stanno sempre più prendendo piede tra un gran numero di ciclisti.

Il viaggio in bici, rispetto alle altre modalità di viaggio, consente di apprezzare di più i luoghi che si incontrano e si attraversano, e anche di percepire con maggiore consapevolezza gli stati d’animo che si provano durante l’esperienza che si compie.

In passato, i viaggiatori del Grand Tour, annotavano su un diario informazioni riguardanti il percorso e le esperienze provate. In alcuni casi, le parole utilizzate per descriverle venivano accompagnate da disegni schizzati che poi venivano utilizzati per rielaborare i ricordi di viaggio.

Certamente è diminuito il numero di chi ama scrivere un diario di viaggio e usa il disegno per fissare nella memoria le emozioni provate, ma oggi ci sono strumenti anche più performanti per ottenere risultati analoghi.

Il problema non sta nel mezzo utilizzato, ma nel fine che si persegue.

La narrazione

Narrazione e non documentazione. Questa credo che sia la sfida dei viaggiatori del nuovo millennio. La posta in gioco non è il viaggio, ma ciò che il viaggio modifica in noi stessi. Partire già con l’idea di realizzare un diario multimediale modificherà profondamente la nostra esperienza, arricchendola di spunti e annotazioni che, sicuramente, andrebbero persi.

Tutti quei viaggiatori che scrivono un diario di viaggio, tornano a casa con un bagaglio di ricordi e di informazioni importanti che aggiungono senso alla propria avventura. Le tecniche narrative sono individuali e varie. Non importa seguire una traccia precostituita, ma è molto importante leggere racconti di viaggio, vedere documentari, servizi fotografici e dotarsi di un metodo.

Gli strumenti a disposizione

Se il nostro viaggio ha motivazioni assimilabili a quelle dei viaggiatori del Grand Tour, gli strumenti che la tecnologia ci mette a disposizione, sono più che sufficienti per permetterci di realizzare una narrazione interessante della nostra esperienza.

Lo smartphone

Lo smartphone, quello straordinario dispositivo da cui non possiamo più separarci, ha delle funzioni formidabili per realizzare il racconto del nostro viaggio in versione multimediale. Questo però non è scontato. E’ necessario capire bene cosa vogliamo realizzare.

Se non abbiamo un progetto e non conosciamo i vari linguaggi che concorrono a costruire la narrazione, rischiamo di produrre una montagna di frammenti insignificanti che non possiamo usare per riorganizzare il nostro racconto rendendolo leggibile, interessante, gradevole, memorabile.

Prima di iniziare il nostro viaggio dobbiamo quindi imparare ad usare il nostro smartphone che, oltre ad essere un telefono, è una fotocamera, una videocamera, un elaboratore di testi, uno strumento per inviare messaggi, un geolocalizzatore, un visore di mappe, uno strumento per ricercare e informazioni e per visualizzare contenuti multimediali. Possiede anche altre innumerevoli funzioni, ma iniziamo focalizzandoci su ciò che ci può servire per il nostro diario di viaggio.

La fotografia

Fermarsi a guardare, osservare, immergersi nella situazione e nel contesto e, solo alla fine, scattare la foto. In questo modo possiamo catturare nel frame quegli elementi per noi più interessanti e meritevoli di essere trasmessi ad altri.

Molto spesso si scatta la foto senza pensare. Non sapendo bene cosa inquadrare ci si affida al caso e si rimanda la visione a dopo, privilegiando la copia all’originale. E’ un errore frequente. Così facendo si producono innumerevoli immagini inutili, totalmente sganciate dalla memoria dei luoghi e dalle emozioni provate.

Per fare una foto utile al racconto è necessario che il soggetto sia significante, possegga cioè un valore comunicativo connesso alla narrazione. Un paesaggio può essere bello e utile da fotografare ma dobbiamo ricordarci che il nostro è un racconto di un viaggio in bicicletta. Per questa ragione sarebbe bene inserire nell’inquadratura, anche se solo marginalmente, la strada e un ciclista (o almeno un particolare che rimandi al viaggio in bici).

I paesaggi con i ciclisti in posa sono troppo didascalici, meglio di spalle o in pose naturali rubate.

I selfie

Possibilmente da evitare è l’inserimento del proprio volto incastonato in una inquadratura. Il selfie è una operazione narcisistica che può essere interessante e utile come ricordo personale ma molto meno come testimonianza dei luoghi attraversati e difficilmente utilizzabile in un racconto di viaggio. Troppi selfie rendono la narrazione (del proprio volto) ripetitiva e stucchevole e ad uso solo degli amici più stretti.

I selfie possono essere utilizzati (sempre con parsimonia) in un gruppo WhatsApp o FB ma devono essere accompagnati da commenti interessanti (almeno per il gruppo) e devono contenere un po’ di autoironia, evitando l’autoreferenzialità.

I video

Altra cosa è il video. È molto più diff icile da realizzare, perché deve rispettare regole narrative ancora più complesse che non si possono improvvisare o affidare al caso. La gran parte dei video realizzati durante un viaggio, a meno che non colga eventi irripetibili, risulta inguardabile. Se ti piace girare dei video, cerca di realizzare sequenze non più lunghe di qualche secondo, pensando già a uno schema di montaggio successivo. Sequenze lunghe servono a poco e quasi mai sono utilizzabili in post-produzione.

Guarda un mio video, realizzato con pochi mezzi, per raccontare la Rando Imperator del 2016, percorsa sotto la pioggia

I social

Anche i social possono contribuire alla realizzazione di un diario interattivo del viaggio. Si possono pubblicare materiali in ogni momento e il proprio spazio web può diventare il contenitore condiviso dei vostri appunti. Ma anche in questo caso non affidarti all’improvvisazione. Cercate di costruire uno schema, una trama che poi modificherete strada facendo. Non partite senza idee e non pubblicate qualsiasi cosa vi capiti.

Guarda il gruppo FB realizzato per pubblicare i selfie della 999 Miglia.

Il diario come bussola

Per concludere, dai importanza alla costruzione della narrazione della tua impresa così come la dai alla programmazione del viaggio e al desiderio di farlo. Il tuo diario sarà la bussola che orienterà il carosello dei tuoi ricordi e potrà anche essere uno strumento utile per tutti coloro che vorranno utilizzare la tua esperienza e i tuoi racconti per organizzare il loro viaggio.

Leggi un mio post dove racconto l’esperienza della Alpi 4000 del 2018

le foto sono di Fabio Coppi

Ci sono molti modi per disegnare un percorso e generare un file gpx. Il metodo migliore e più preciso è naturalmente quello di registrare la traccia con il proprio ciclocomputer. Il file gpx così generato conterrà anche tutte le informazioni rilevate lungo il percorso (oltre all’altimetria anche la velocità, la media ecc.). Questo file viene letto come reale da qualsiasi visualizzatore che si può trovare sul Web (Openrunner, Strava, Bikemap ecc.).

Esiste però un altro modo, più semplice, di generare file gpx ed è quello di utilizzare direttamente le funzionalità messe a disposizione a tale scopo dai programmi di visualizzazione. A differenza dei files generati realmente, questi contengono solo informazioni relative al percorso, come distanza e altimetria, ma il tempo di percorrenza viene solo stimato in base ai parametri di chi lo genera (età, altezza, peso ecc.).

A che cosa servono questi file gpx generati a tavolino ?

Principalmente a due cose:

1 – verificare un percorso prima di farlo, misurando la distanza e il dislivello altimetrico

2 – generare un file gpx da caricare sul dispositivo (ciclocomputer o App) che vi guiderà lungo il percorso

Nel primo caso l’utilità sta nel prevedere cosa ci aspetta programmando la nostra esperienza di viaggio, nel secondo caso, la traccia ci aiuta a seguire il percorso che abbiamo programmato, senza perderci.

Sicuramente questa possibilità, che ci viene offerta gratuitamente da tutte le piattaforme in commercio, è utilissima e vale la pena perderci un po’ di tempo (pochissimo) per imparare ad usarla.

Dopo averle utilizzate e studiate molte, la mia preferita è STRAVA. E’ quella più semplice, è la più affidabile, è basata su una cartografia leggibile e dettagliata. Di seguito vi spiego come utilizzarla.

Per prima cosa è necessario iscriversi (gratuitamente) e generare un proprio profilo su STRAVA..

Ora che ti sei registrato, segui questi consigli per generare la tua prima traccia gpx con STRAVA. Accedi alla tua dashboard.

Clicca in alto a sinistra e ti comparirà una tendina con “i miei percorsi”. Cliccaci sopra.

Si apre una nuova finestra “I miei percorsi”. Clicca su “Crea nuovo percorso”.

Ora, in alto a sinistra, digita la località da dove vuoi iniziare il percorso. Nel caso dell’esempio “Assisi” in Umbria. Si apre la mappa con al centro Assisi.

Clicca in alto a sinistra sulla rotella e ti si aprirà la pagina con le preferenze. Puoi scegliere se usare la mappa o la visione satellitare e il sistema di misura delle distanze.

Fatto questo devi posizionare il cursore sul punto esatto dove vuoi iniziare il percorso. Ti consiglio di ingrandire la mappa cliccando in alto a sinistra su “+” fino ad ottenere una mappa abbastanza dettagliata.

Posiziona il cursore sul punto di partenza. Apparirà un pallino verde. Posiziona nuovamente il cursore su un altro punto lungo il percorso che intendi tracciare. Si genererà una prima traccia scura. Se, procedendo, posizionerai il cursore su un punto sbagliato, puoi cancellarlo cliccando in alto a sinistra su “annulla”. Non cliccare su “cancella” perchè quel pulsante cancella tutta la traccia e dovrai ricominciare dall’inizio.

Prosegui posizionando il cursore sui punti successivi del tuo percorso. Vedrai che il programma disegnerà automaticamente la tua traccia seguendo la strada sulla mappa. Fai attenzione a inserire i punti lungo le strade che vuoi percorrere tu perchè il programma potrebbe seguire altri tracciati in base ad altri parametri diversi dai tuoi. Controlla quindi la traccia mentre si genera prima di continuare. Nel caso clicca su “annulla” per eliminare l’ultimo tratto.

Arrivato alla fine del tuo percorso, devi salvarlo cliccando su “salva” in alto a destra.

Puoi anche attivare il “dislivello” per vedere l’andamento altimetrico della tua traccia. Appena avrai cliccato su “salva” ti apparirà questa scheda con dei campi da riempire.

Devi dare un nome al tuo percorso. Puoi aggiungere una descrizione che ti potrà servire in seguito quando avrai generato molti percorsi e sarà difficile ricordarli tutti. Fatto questo clicca su “salva”.

Ora che l’hai salvato, potrai visualizzare il tuo percorso.

A questo punto puoi scaricare la traccia gpx che hai generato. Il file avrà il nome che hai assegnato al percorso. Ora potrai caricarlo sul tuo dispositivo.

Se hai un Garmin puoi seguire le istruzioni presenti in questo post https://mybikeway.it/come-inserire-una-traccia-gpx-nel-tuo-garmin/

Se hai un Bryton puoi seguire le istruzioni presenti in questo post https://mybikeway.it/come-inserire-un-file-gpx-nel-tuo-bryton/

Ora puoi utilizzare la traccia che hai caricato sul tuo dispositivo per farti guidare lungo il percorso che hai generato.

Segui questo link per capire cosa è STRAVA

Segui questo link per iscriverti usando uno dei 3 metodi previsti.

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Convertire un file .FIT in un file .gpx https://mybikeway.it/convertire-un-file-fit-in-un-file-gpx/

Bryton come alternativa a Garmin ? https://mybikeway.it/bryton-come-alternativa-a-garmin/

In Europa ci sono dei percorsi, a piedi e in bicicletta, che hanno una grande fama e godono di un notevole successo di pubblico. Ciò che più concorre a renderli famosi è il fascino del racconto dell’esperienza di coloro che li hanno percorsi e il valore simbolico che li caratterizza.

Il pellegrinaggio verso i luoghi sacri delle varie religioni è stato uno dei motivi che ha mosso e ancora muove centinaia di migliaia di persone in tutti i continenti. Nel mondo occidentale, dopo la parentesi del secolo scorso, stanno riprendendo vita in modo particolare due dei grandi percorsi di pellegrinaggio della cristianità: il Cammino di Santiago e la Francigena.

Pur rappresentando un’attrazione di tipo spirituale per i credenti, entrambi i percorsi sono diventati dei prodotti turistici che, in molti casi, travalicano il significato religioso e attraggono una moltitudine di persone che trovano una motivazione, condivisa, per affrontare un viaggio che, si spera, possa avere caratteristiche diverse da una semplice vacanza.

Se per il Cammino di Santiago si può parlare di un vero boom a livello mondiale, lo stesso non si può dire per la Via Francigena che, nonostante sulla carta possegga un’attrattività maggiore per le mete che mette in comunicazione, non ha lo stesso successo.

Di seguito provo a dare delle possibili spiegazioni del fenomeno, descrivendo i due percorsi e le loro caratteristiche facendo riferimento alle fonti ufficiali linkate.

La Via Francigena sta ad indicare un insieme di vie che dall’Europa occidentale, in particolare dalla Francia (da dove origina il nome), conducevano nel Sud Europa fino a Roma (alla tomba dell’apostolo Pietro) e di qui proseguivano verso la Puglia, dove vi erano i porti d’imbarco per la Terrasanta, meta anch’essa dei pellegrini e dei crociati.

Il pellegrinaggio a Roma, nel medioevo, era una delle tre peregrinationes maiores insieme alla Terra Santa e a Santiago di Compostela. L’Italia era percorsa continuamente da pellegrini di ogni parte d’Europa. Molti si fermavano a Roma, gli altri scendevano fino al porto di Brindisi e poi, da lì, si imbarcavano per la Terra Santa.

La prima descrizione del percorso fu fatta nel X secolo dal vescovo Sigerico, di ritorno a Canterbury dal pellegrinaggio fatto a Roma. Il documento di Sigerico rappresenta una delle testimonianze più importanti di questa rete medievale di vie di comunicazione, ma non esaurisce le molteplici alternative che concorrono a definire una fitta ragnatela di collegamenti che il pellegrino percorreva a seconda della stagione, della situazione politica dei territori attraversati, delle credenze religiose legate alle reliquie dei santi lungo il percorso.

Non si può parlare quindi di un’unica via Francigena (come lo si può fare per le vie consolari romane) ma di una rete di percorsi che collegavano l’Europa a Roma e alla Terra Santa.

La presenza di questi percorsi, attraversati da una grande quantità di persone provenienti da culture diverse tra loro, ha permesso un eccezionale sviluppo delle relazioni nell’Occidente Cristiano. Ancora oggi, anche se non sempre facilmente, sono rintracciabili sul territorio le memorie di questo passaggio che ha strutturato profondamente le forme insediative e le tradizioni dei luoghi attraversati. Un passaggio continuo che ha permesso alle diverse culture europee di comunicare e di venire in contatto, forgiando la base culturale, artistica, economica e politica dell’Europa moderna.

Il Cammino di Santiago di Compostela è l’insieme dei percorsi che i pellegrini nel medioevo utilizzavano, attraverso la Francia e la Spagna, per giungere al santuario di Santiago di Compostela, costruito nel IX secolo sulla tomba dell’Apostolo Giacomo (morto nel 44 d.c.) il cui culto è da sempre molto sentito in Europa poichè , secondo la tradizione popolare, sarebbe intervenuto prodigiosamente, in sella ad un cavallo bianco, come Matamoros (ammazza mori), a sostegno dell’esercito asturiano contro le truppe islamiche nella battaglia di Clavijo nell’844 d.c.

I Cammini di Santiago sono quindi molteplici e, come si vede nella mappa, convergono, da diverse zone dell’Europa, verso Roncisvalle, da dove parte l’ultima tratta che attraversa la Spagna settentrionale.

Da quando nel  1987 il Consiglio d’Europa ha riconosciuto l’importanza dei percorsi religiosi e culturali che attraversano l’Europa per giungere a Santiago de Compostela dichiarando la via di Santiago “itinerario culturale europeo” e finanziando tutte le iniziative per segnalare i vari percorsi, questi sono diventati un prodotto turistico che travalica la fede cristiana e coinvolge migliaia di turisti ogni anno.

LE DIFFERENZE

La Via Francigena, a differenza del Cammino di Santiago de Compostela, non è ancora un percorso attrezzato per i pellegrini e per i turisti a piedi e in bicicletta.

Il tracciato di entrambe è immaginario perchè, tranne in pochi tratti dove permangono testimonianze storiche, delle antiche strade e sentieri percorsi dai pellegrini nel medioevo non c’è più traccia.

In particolare, la Via Francigena, ha risentito nei secoli delle trasformazioni fisiche del territorio attraversato, e delle vicende politiche che, per vari motivi contingenti, hanno modificato e rimodificato i flussi.

Solo negli anni ’80 del secolo scorso è comparsa una segnaletica lungo il percorso francese del Cammino, e solo recentemente in Italia è stata realizzata, da organismi privati e da poche amministrazioni locali, una segnaletica permanente per la Francigena.

Però, il Cammino, nelle sue varie articolazioni e aggiunte, può contare ogni anno sulla presenza di circa 300.000 pellegrini, mentre la Francigena molto meno (secondo stime, in eccesso, non verificate 50.000).

Da cosa dipende ? Dal marketing (solo annunciato) e da alcuni fattori strutturali.

Un esempio eclatante è costituito dall’accesso a Roma. Più ci si avvicina alla capitale e più ci si perde. Esperienza completamente diversa è l’arrivo a Santiago de Compostela, la meta indiscussa del pellegrinaggio e del viaggio.

Altra lacuna la presenza diradata e poco organizzata di ostelli a basso prezzo. A questo si aggiunge la frammentazione degli interventi strutturali sui percorsi che risultano parziali ed episodici.

Sostanzialmente la Via Francigena si presenta ancora più come un’idea e un progetto che come una vera e propria infrastruttura organizzata.

Al momento è un limite ma potrebbe essere una risorsa se le varie comunità locali, che potrebbero avere dei vantaggi dalla presenza di questa infrastruttura nei propri territori, si organizzeranno per realizzare un disegno unitario (dal punto di vista dell’identità del prodotto), ricco di varianti (così come la storia ci insegna) che consentano ai pellegrini e ai turisti di arricchire la propria esperienza di viaggio e di scoperta del territorio.

Stiamo parlando dell’Italia e di una ricchezza di offerta che non ha uguali (anche in confronto con la Galizia), così che la via Francigena o, meglio, le vie Francigene, possano diventare l’esperienza del viaggio in Italia per milioni di turisti.

Si tratta di porre l’attenzione più sul viaggio che sulla meta e lavorare per creare una cultura dell’accoglienza per un turismo itinerante, non più di massa (dei torpedoni), ma degli individui che si spostano a piedi o in bicicletta. Turisti comunque numerosi ma più attenti alle esperienze autentiche, ai territori attraversati e alle comunità.

Link all’intervista a Pierpaolo Romio, fondatore del Tour Operator, Giro Libero che parla anche della Francigena e fa interessanti riflessioni su come è organizzato il mercato del cicloturismo in Italia.

Negli ultimi anni, con il crescere di una consapevolezza sui temi ambientali, ci siamo posti l’obiettivo di modificare la nostra mobilità urbana ed extraurbana auspicando una transizione rapida dai tradizionali mezzi mossi da carburante di origine fossile, molto inquinante, a quelli elettrici, considerati più efficienti e meno inquinanti.

Oltre all’inquinamento la nuova consapevolezza si rivolge anche ai temi legati alla salute e al benessere, così ci siamo accorti che, piuttosto che stare seduti incolonnati in auto, è molto più salutare camminare o pedalare per spostarci all’interno delle nostre città.

Cambiando abitudini e stili di vita si può migliorare molto il nostro stato di salute e contribuire a rendere più vivibili e meno inquinanti le nostre città.

Ma è sufficiente ? Credo proprio di no.

La domanda che dovremmo farci, infatti, non è solo: come ci muoviamo e con che mezzo ?, ma: perché ci muoviamo ? E’ una nostra necessità e libera scelta ? O siamo indotti a muoverci indipendentemente dalla nostra volontà ? E poi, tutto questo ha un senso ?

Gran parte degli spostamenti delle persone sono inutili e creano disagi di vario tipo (non sempre misurabili) e se non si rimuove la causa di tutto questo, servirà a poco cambiare mezzi di trasporto (più ecologici) e realizzare piste ciclabili, parcheggi intermodali, car sharing o bike sharing, perché si continuerà a cercare soluzioni senza rimuovere le cause.

La società contemporanea continua a muoversi secondo paradigmi ormai superati. Ci si sposta dalle residenze ai luoghi di lavoro e viceversa sempre agli stessi orari. Le aree urbane continuano a specializzarsi sempre di più per funzioni e le persone sono costrette a muoversi tra di esse senza poter scegliere quando farlo, dando anche per scontato che sia assolutamente necessario farlo.

Si attraversa la città per raggiungere posti di lavoro dove le persone che si spostano passano ore davanti al computer a svolgere mansioni e a occuparsi di cose che potrebbero essere fatte in qualsiasi altro posto con dispositivi portatili. Stessa cosa vale per le scuole che ancora sono organizzate più come caserme che come luoghi dove sviluppare conoscenza.

Per attraversare le città, indipendentemente dal mezzo che si utilizza, tutti noi, per trascorrere il tempo che ci viene rubato, siamo incollati allo smartphone, anche se siamo alla guida dell’auto. Le stesse pubblicità delle automobili non si soffermano più sulle caratteristiche prestazionali del mezzo ma sulle dotazioni informatiche e di intrattenimento che possiede.

D’altra parte le auto procedono sempre più lentamente nel traffico e spesso stanno ferme per via delle code o ai semafori. Stessa sorte per gli autobus e le moto, inutilmente voluminose, rumorose e potenti.

Sostituire le auto diesel con auto elettriche o ibride, con il car sharing o con le bici a pedalata assistita non risolve il problema di una mobilità senza senso.

Eppure la tecnologia per evitare tutto questo è già disponibile. E’ la nostra mente che è pigra e non mette in atto quei cambiamenti di paradigma che renderebbero la nostra vita più semplice e meno stressante.

Certamente non possiamo farlo individualmente. Sarebbe necessario che collettivamente prendessimo atto di una situazione sempre meno sostenibile e cercassimo di immaginare altre soluzioni, più radicali e innovative modificando la stuttura produttiva di beni e servizi, rimasta la stessa del secolo scorso, nonostante sia cambiato tutto, anche noi stessi.

Il movimento inutile in cui siamo imbrigliati quotidianamente ci ruba tempo prezioso, è stressante e senza senso. Oltretutto, analizzandolo con lucidità, non è necessario, ed è modificabile insieme alla regole che governano la nostra vita.

Finalmente, anche per effetto della crisi, ci stiamo accorgendo che questo modello non funziona più, oltre a non piacerci più, ed è questo il momento per immaginare qualche cosa di diverso che ci liberi dalle prigioni fisiche e mentali in cui siamo confinati.

Tornando alla mobilità, non solo gli spostamenti urbani per lavoro e per necessità sono stressanti, ma anche quelli che facciamo per il nostro piacere. Andare in vacanza è spesso motivo di stress. Vincolati da un orologio virtuale (programmato non si sa più da chi) che scandisce i tempi di tutte le nostre azioni, ci troviamo incolonnati in lunghissime code sia per uscire che per rientrare in città.

Le vere vacanze intelligenti sono quelle che non prevedono spostamenti in auto, in treno, in aereo….

Si perchè il viaggio, che è una delle esperienza più belle che una persona possa desiderare, ha perso il suo significato esperenziale ed è diventato semplicemente lo spostamento dal luogo di residenza al luogo di vacanza.

Tutto ciò di bello e avventuroso che potrebbe avvenire durante il viaggio è stato ridotto a delle ore noiosissime e interminabili in autostrada, ai caselli, negli autogrill, nelle stazioni, negli aeroporti… tutti “non luoghi” che sostituiscono i paesaggi reali e la vita che anima i territori attraversati ma ignorati, senza consapevolezza.

La differenza tra una vacanza e il viaggio sta nella scelta del mezzo, del percorso, alla disponibilità di tempo e alla propensione all’avventura libera piuttosto che la scelta pianificata di ciò che ci viene venduto e presentato come un nostro desiderio.

Non è un caso che i tour operator vendono pacchetti…

Che dire ? Io ho imparato a diffidare dei “pacchi”.

Fatte queste considerazioni, vi invito a oliare la catena della vostra bicicletta, a preparare i bagagli (pochi ed essenziali) e ad iniziare il vostro viaggio. Non importa quale sia la vostra meta, l’importante è partire per un’avventura che coinvolga non solo i vostri sensi.

Anche la gita fuori porta può diventare un viaggio se la si affronta con lo spirito giusto. Poi, imparando l’arte del viaggiare, le nostre avventure potrebbero assumere altre connotazioni ed aiutarci a modificare la nostra vita, cominciando a fare scelte più consapevoli e a liberarci da condizionamenti che la nostra stessa mente, oltre ad accettare, è abituata a confermare.

Il viaggio in bicicletta sappiamo dove inizia ma non sappiamo dove finisce e … se finisce…

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